Il bersaglio posto su Francesca Albanese è l’ennesimo attacco contro le regole della convivenza e della democrazia. Ci riguarda, tutt*.
L’azione del governo degli Stati Uniti contro Francesca Albanese è l’ennesimo caso, grave e ancor più preoccupante perché diretto contro una donna, una rappresentante Onu, una persona, che ci troviamo a leggere nelle cronache marziane della nostra contemporaneità. Le lobby sioniste lavorano da tempo contro Albanese, lo stesso governo israeliano la attacca frontalmente, e lei stessa nelle settimane scorse aveva ammesso di temere per sé stessa. Ed ha ragione, come se le avessero messo un enorme bersaglio addosso. Francesca Albanese, fra le altre cose è una cittadina italiana e dal governo neanche un bah, e la violenza che arriva da Washington è indegna di quella che si proclama una democrazia leader nel mondo.
Per questo dobbiamo essere tutt* vicini ad Albanese. Strett*, molto strett* e non lasciarla sola.
Il provvedimento è nel solco della tracotante prepotenza del più forte che se ne frega – fascista espressione – se ne frega delle regole, degli organismi sovranazionali, dei trattati che non firma per avere le mani libere, complice del genocidio di Gaza, complice dei focolai che ha acceso nei decenni nel mondo per creare il nemico.
La costruzione del nemico è un elemento che dagli Stati Uniti è stato esportato nell’area di influenza di Paesi alleati (vassalli), dopo il secondo conflitto mondiale. La strategia della tensione italiana è stata modellizzata negli States e sostenuta dagli uffici degli spioni in Italia e dei consiglieri nelle stanze romane del potere, civile e militare. Erano gli anni della Guerra Fredda.
L’azione oscura degli Stati Uniti per il primato mondiale va dalle Special Operations da narcotrafficanti in Asia per pagare le operazioni coperte, al riutilizzo di gran parte degli agenti segreti nazisti, ai governi fantoccio, al sostenere i golpe con decine di migliaia di desaparecidos, le micce posizionate in Medio oriente, la creazione di gruppi eversivi che poi si sono rivoltati contro, lasciando una quantità di armi nei ‘teatri’ di guerra nelle ritirate che sono finite nelle mani degli stessi nemici e che hanno alimentato arsenali e vendita illegale transnazionale.
Di fronte a questa necessaria memoria dell’utilizzo del potere, peraltro non solo made in Usa, oggi siamo dentro una surreale politica ad personam di discredito, prima avviata sui canali digitali, poi con il bersaglio posizionato con chirurgica precisione sulla schiena di chi raccoglie fatti, non opinioni, e li espone, dimostrando che la pulizia etnica e il genocidio in Palestina non è solo razzista, ma un affare colossale, così come l’effetto domino dello scomposto modo di parlare al mondo della presidenza Usa ha provocato e suggerito un altro grande affare come il riarmo non dell’Europa, ma dei singoli stati, condizionando l’attenzione e la scelta di economia politica su strumenti di morte, più che sul welfare o riconversione verso il grande tema globale della transizione giusta. Tutto si tiene e questo ci dice come difendere e accompagnare oggi Francesca Albanese sia un gesto di resistenza che non riguarda solo il violento attacco contro di lei, ma contro tutti e tutte noi.
La categoria dell’umano, che ormai mal si accompagna spesso a questo di tipo di malapolitica, è ormai diventata un inutile orpello, dentro una visione di una oligarchia globale, tech e finanziaria che paradossalmente è sostenuta spesso dal voto degli emarginati e dai nostri consumi, dal controllo che abbiamo accettato senza scomodarci nella fatica del dissenso, nell’esercizio utile sempre del conflitto.