Catalunya: soffrono gli independentisti, si afferma il partito socialista

Le elezioni che si sono svolte in Catalunya domenica 12 maggio hanno diverse letture, che si coniugano anche a seconda di un dato di contestualizzazione storica.

Un forte astensionismo,  la vittoria del Partito Socialista Catalano, la sconfitta dell’indipendentismo e in generale uno spostamento di consensi da ERC, Esquerra Republicana,  dell’attuale preidente Aragones a Junts guidato dal fino ad ora proscritto Puigdemont. Ma anche il consolidamento della destra spagnola, Partido Popular, la crisi della sinistra spagnola, Comun, e catalana, CUP, oltre alla presenza della destra xenofoba di Aliança Catalana. Fra i dati che costellano il voto catalano c’è la scomparsa della candidatura spagnola Ciudadanos che nelle elezioni del 2017 era la prima forza politica raccogliendo il voto anti catalanista. La vittoria del PSC, la cui storia è caratterizzata da una forte indole autonomista, raccoglie la strategia del PSOE di Pedro Sanchez con il sostegno dei partiti autonomisti e indipendentisti e la “pacificazione” in Catalaunya con la legge sull’amnistia nei confronti degli esponenti dell’indipendentismo catalano condannati per il referendum del 2017. Il candidato socialista, l’ex ministro della sanità del Governo Sanchez Salvador Illa, sembra voler riproporre una formula di governo progressista come avvenne nel 2003, avanzando la proposta a Comuns e a ERC che, come prima risposta alla sconfitta, ha annunciato di voler passare all’opposizione. Questa presa di posizione del PSC mostra come il panorama politico spagnolo veda il PSOE mostrare diverse anime. Se nel Paese Basco il governo progressista con EH Bildu è stato scartato in favore della consolidata formula con il conservatore PNV, in Navarra il PSN ha scelto un’alleanza con EH Bildu e altre forze progressiste.

Molti analisti sottolineano come i risultati di domenica significano la fine del process il progetto indipendentista concretizzato nel referendum del 2017 represso da magistratura e polizia, ma anche anche dai potentati economici e dalla crisi della società civile dell’indipendentismo catalano. In realtà, risultato elettorale non rappresenta una novità nella storia della Catalunya di questi ultimi decenni.

Se dal 1980 il Govern era rimasto nelle mani del catalanismo conservatore di CiU (Convergencia i Uniò) e del suo leader, e della sua “famiglia” Jordi Pujol, (che con i patti con Madrid aveva fatto una sua identità politica, a partire dagli anni 2000) il panorama politico degli ultimi anni era cambiato. La vittoria del 2003 da parte del PSC e di ERC portò alla nascita del primo governo progressista catalano con la presenza della sinistra verde di ICV. Ma per cercare un’interpretazione del voto di oggi dobbiamo considerare che questo governo promosse la storica riforma dello Statuto di autonomia nel 2005 che tra diverse vicissitudini venne poi bocciato dal Tribunale Costituzionale dopo un ricorso del Partido Popular che riaffermava un principio: non esiste la nazionale Catalana, ma solo quella spagnola e che l’unico soggetto di diritto è il “popolo spagnolo”. Una decisione che significativamente seguiva un’altra decisione di bocciatura del massimo organo giuridico spagnolo rispetto alla proposta di un referendum consultivo su una riforma dello statuto di autonoma in questo caso basco avanzata dall’ allora governo di Jose Maria Ibarretxe e ricorso dal Governo socialista di Zapatero. Fu quella chiusura politica a determinare una crescita esponenziale di una società civile catalana che sarà rappresentata in particolar modo dalla Asamblea Nacional Catalana (ANC) che dal 2012 all’anno del referendum 2017 diverrà sorprendentemente il soggetto politico principale nel condizionare la strategia dei partiti politici catalani e allo stesso tempo mobilitare centinaia di migliaia di catalani. Come nella “catena umana” che riunì 790 mila persone, il 10% degli abitanti della Catalunya. Una “lobby” di massa che verrà investita anch’essa dalle conseguenze del referendum del 2017. Non solo per la repressione che il Governo e la magistratura spagnola hanno esercitato. E per le conseguenze economiche con la fuga di grandi imprese dalla Catalunya o per le speranze tradite di un elettorato che aveva votato in maggioranza per l’opzione indipendentista. Diversi fattori che nell’ANC porteranno un intenso dibattito interno , tanto che in questi mesi hanno visto scontrarsi due opzioni sulla partecipazione o meno con una propria lista alle elezioni.

Ma si può forse leggere anche una sorta di “egocentrismo cognitivo”, ovvero la proiezione sugli altri dei propri presupposti e ideali riguardo al mondo. In questo caso sulla sociologia della società catalana e sulla sua predisposizione a riaffermare una propria specificità culturale e politica che comunque evidenzia un sentire storico maggioritario.

Un sentire dove trova spazio elettorale, seppur minoritario, anche un’idea xenofoba come quella di Alleanza Catalana, la cui origine si trova nella località di Ripoll dove operava la cellula takfirista che sarà responsabile degli attentati di Barcelona del 2017. In Spagna le elezioni in Galizia, Paese Basco Navarra e Catalunya hanno comunque lanciato un messaggio significativo. Per fare fronte all’ondata di destra xenofoba e sciovinista è necessaria una politica solidale dei diritti sociali che riconosca la pluralità culturale.