Incontro Alba in un bar nel quartiere Flaminio a Roma, durate una giornata nebbiosa che appanna la vista.

Solo alcuni colori non possono passare inosservati: sono il viola dei pantaloni di Alba e l’ocra del suo maglione ricamato. Vestita così sembrerebbe più giovane dei suoi trent’anni. Chissà perché crediamo che ogni età abbia le sue usanze obbligate.

Alba ha appena vinto il concorso da insegnante elementare. Vuole cambiare il modo di fare Scuola. Prima, dice, deve vedersi approvata la modifica del suo passaporto. C’è ancora scritto Alberto.

“Durante il periodo in cui andavo a scuola ho disprezzato me stessa ogni giorno per la difficoltà con cui adempivo a quelle che insegnanti e professori definivano come semplici regole”

Le chiedo di farmi un esempio di quando si è sentita costretta a scegliere tra due errori.

“Capitava ogni giorno. Mi bastava aver urgenza di andare in bagno e mi veniva chiesta una forzatura identitaria. Parlo del dolore silenzioso che provo ancora oggi ogni volta che mi trovo davanti un’immagine che tutti conosciamo: un omino in piedi, ben rigido, che nella sua icasticità dovrebbe rappresentare una metà della popolazione mondiale, e una gentildonna (perché se non sei gentile non sei donna) con il suo comodo capo d’abbigliamento ‘femminile’, che ne dovrebbe rappresentare l’altra metà. È mortificante non sapere dove andare. È mortificante sentirsi sbagliat* anche in situazioni basilari di questo genere”

Alba non è la prima da cui ho ascoltato una simile testimonianza. Mi chiedo quando ci si muoverà tutti insieme per mandare a cagare questa violenza. Come uno sciacquone.