Cop27, i grandi temi urgenti per l’umanità – mentre ci ostiniamo a dire per il pianeta -, la politica e diritti umani. Dentro la giusta transizione c’è giustizia sociale e diritti, non solo Gigawatt da recuperare in rinnovabili e strategie di riduzione della co2. È tutto un sistema che deve cambiare. Eppure i segnali proprio non si vedono, anche a essere ottimisti per bandiera. Per l’Italia i cognomi Regeni e Zaki dicono di una debolezza dei rapporti di forza nei confronti con il colosso egiziano, dove l’attuale governo ha già messo in chiaro che vuole fare affari.
Quando accadono queste cose, e con nel cuore le lotte dei ‘desaparecidos’ egiziani che sono troppi e in troppa solitudine, viene da pensare agli anni ’70 e alle dittature che mietevano vittime in maniera crudele, le torturavano, rubavano figli, squarciavano pance lanciando corpi ancora vivi nel mare dagli aerei. I nomi dei boia, Pinochet, Videla, per ricordarne solo due, sono passati alla storia come i criminali che erano, loro e chi li ha favoriti, coccolati, armati, aiutati (di questi invece si è taciuto molto e qualcuno si è preso pure il Nobel alla pace). Di Al Sisi scriviamo che è un dittatore, eppure i governi vanno a stringere mani. Come si può stringere quelle mani?

Ecco qui un dossier di Recommon, realtà di controinformazione e inchiesta sulle malefatte dei grandi potentati delle fossili, un report dal titolo “La campagna d’Egitto – Gli affari dei ‘campioni’ italiani con il regime di al-Sisi”. Lo ha fatto in concomitanza con l’inizio della COP27 a Sharm el-Sheik. Nella pubblicazione, l’associazione esamina il rapporto fin troppo stretto e proficuo delle due big del settore fossile, Eni e Snam, della principale banca italiana, Intesa Sanpaolo, e dell’assicuratore pubblico nostrano, SACE, con il sanguinario e liberticida regime di Abdel Fattah al-Sisi. In carica dal 2014, al-Sisi è responsabile della detenzione arbitraria di migliaia di persone, di innumerevoli condanne a morte in seguito a processi viziati e di una vasta discriminazione di genere per legge. Eppure, tra i paesi dell’Unione europea, l’Italia è il primo partner commerciale dell’Egitto e il quinto a livello globale, oltre a essere il secondo Paese di destinazione delle merci egiziane.

Non a caso l’Egitto è il singolo Paese nel quale si trova il volume maggiore delle riserve di gas di Eni, oltre il 20% del totale. La produzione nel Paese della principale multinazionale energetica italiana, partecipata dallo Stato, rappresenta il 60% del totale nazionale. Solo inizialmente l’Eni ha fatto sentire la sua voce in merito alla barbara uccisione di Giulio Regeni, per poi tornare senza troppe remore al business as usual, in quel momento rappresentato dalla scoperta dell’ingente giacimento di Zohr. Grazie soprattutto ai progetti di Eni, il regime di al-Sisi ha conquistato un ruolo di primo piano sullo scacchiere energetico internazionale.

Di recente Snam, il più grande operatore del sistema di trasporto del gas in Europa, società anch’essa partecipata dallo Stato italiano, ha acquistato il 25% della East Mediterranean Gas Company (EMG), proprietaria del gasdotto Arish-Ashkelon tra Israele ed Egitto, anche noto come “Gasdotto della pace”. Infrastruttura sicuramente strategica per gli scambi energetici tra i due paesi e nodale per le mire del Generale al-Sisi, ma anche opaca nella sua composizione societaria, su cui pendono ombre pericolose.

Tutti questi investimenti infrastrutturali vengono attuati grazie agli istituti di credito e alle istituzioni finanziarie. In prima fila c’è Bank of Alexandria, la sussidiaria locale del primo gruppo bancario italiano, Intesa Sanpaolo. Partecipata anche dallo Stato egiziano, Bank of Alexandria si vanta di essere il canale privilegiato per gli investimenti italiani nei settori strategici per l’Egitto, in primis il comparto oil&gas e quello dell’acquisto di armi, tanto ‘caro’ al regime.

A garanzia di queste relazioni troviamo SACE, l’assicuratore pubblico italiano controllato dal ministero dell’Economia e delle Finanze, la cui esposizione storica nei confronti del regime egiziano supera i 4 miliardi di euro. L’importanza rivestita dall’Egitto nel portafoglio di SACE si evince da due operazioni di garanzia: quella per la raffineria di MIDOR e quella per la raffineria di Assiut, avvenuta a febbraio 2022. Entrambe risultano le più grandi mai emesse da SACE nel settore oil&gas. Per l’ultima, sullo sfondo del caso Regeni, ci sono state poche remore, nonostante la titubanza di altri attori finanziari italiani coinvolti, come Cassa Depositi e Prestiti.

Perché Snam non pubblica l’elenco completo degli azionisti della EMG, suoi soci in affari in Egitto, e i beneficiari ultimi di ciascuna delle società che controllano proprio insieme a Snam il gasdotto Arish-Ashkelon? Perché Eni ha continuato a incrementare i propri investimenti in Egitto persino dopo che sono emersi possibili legami tra l’assassinio di Giulio Regeni e il regime di al-Sisi? Qual è stata la destinazione finale degli ingenti finanziamenti che Intesa Sanpaolo ha concesso al ministero della Difesa e al ministero delle Finanze egiziani? Perché SACE non ha avuto alcuna remora nel garantire la raffineria di Assiut, nonostante altri attori finanziari fossero preoccupati per le implicazioni reputazionali derivanti dal caso Regeni?

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