L’idea del confederalismo democratico scardina nel fondo l’idea del potere egemonico. Ridurla alla questione curda come fanno i mass media mainstream, e non solo, oscura il potenziale dirompente di questa visione

L’informazione dominante, fissa una serie di avvenimenti attraverso cronache e analisi dalle quali si costruisce una sorta di vademecum ideologico per interpretare i fatti. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e il massacro sistematico di Israele a Gaza – e di “bassa intensità”(sic!) in Cisgiordania – oscurano tutto il resto. Eppure, Sudan, Birmania, Siria, Yemen, Congo ed altri Paesi sono teatro di guerre ad alta o bassa intensità, con decine di migliaia di vittime e milioni di profughi. Sono conflitti con attori interni alimentati da potenze portatrici di visione di egemonia politiche con tratti imperiali: Usa, Europa, Russia Cina, Arabia, Turchia, Iran. Una voce nelle mobilitazioni pacifiche contro il regime siriano di Assad a Suwaidaa nella regione a maggioranza drusa ricorda il ruolo dei mass media mainstream: “I mezzi di comunicazione mendaci non sono stupidi, e fanno leva sull’idiozia dei propri seguaci”. Leggendo o ascoltando l’informazione si ricorre spesso a idee come la “comunità internazionale” chiamata in causa per giustificare una latente idea di civiltà versus barbarie. Lo scrive lo storico Hamit Bozarslan: “La civilizzazione non è né orientale né occidentale. La civilizzazione non è né cristiana né islamica, né cinese né indiana. La civilizzazione è fiducia nel tempo e nello spazio”. (..) “Le nostre guerre ora si concentrano sulla distruzione della fiducia, della civiltà e della urbanità. Non puoi dare un significato al tuo passato. Non puoi proiettarti nel futuro. La distruzione diventa l’unico momento in cui inizia la tua storia”.

Nell’Amministrazione Autonoma Nord Est della Siria (AANES) così come nel Bakur, il Kurdistan in Turchia, l’idea del confederalismo democratico scardina nel fondo l’idea del potere egemonico. Ridurla alla questione curda come fanno i mass media mainstream, e non solo, oscura il potenziale dirompente e potenzialmente innovatore che questa visione del mondo contiene. Nel Contratto Sociale del 2024 della AANES “curdi, arabi, assiri siriaci, turkmeni, armeni, circassi, ceceni, musulmani, cristiani e yazidi”, propongono condivisione pluralistica e di genere del potere, democrazia partecipativa, critica alla forma stato, negoziato come forma per dirimere i conflitti, diritti umani politici, religiosi e sociali, principi che in un contesto di guerra cercano di rendere pratici. La domanda sorge spontanea: perché questo silenzio omertoso, della variegata “comunità internazionale” su questo laboratorio culturale e politico? Evitando di cadere in quello che Richard Landes definisce come “egocentrismo cognitivo”, che descrivere il fenomeno della proiezione sugli altri dei propri presupposti e ideali riguardo al mondo, alcuni fatti di questi ultimi anni potrebbero dare delle chiavi d’interpretazione e tra questi il caso del ISIS Daesh. Una comandate della milizie femminili curde, YPJ, nel 2016 durante la lotta contro l’ISIS affermò “speriamo che il mondo ci appoggi per le nostre idee e non per le nostre armi”. Dopo la liberazione di Mambij da parte delle milizie del YPG, sullo sfondo nero di un murales del ISIS una mano incerta scrisse con il colore bianco “solo l’amore e il YPG potranno fermare questo odio”. Più di 12 mila uomini e donne delle Forze Democratiche Siriane, curdi, armeni, siriaci, arabi, turcomanni, yazidi, sono morti per difendersi, e difenderci, combattendo il takfiristi del ISIS e le altre milizie fondamentaliste supportate dalla Turchia. Dopo la sconfitta del ISIS con la caduta di Baghoutz nel marzo 2019 più di sessantamila persone, militanti del ISIS e loro famiglie, sono detenute nei campi e nelle prigioni della AANES.

L’amministrazione della regione autonoma chiede da anni che la comunità internazionale si assuma le sue responsabilità per istituire tribunali che giudichino i crimini contro l’umanità e di genocidio, seguendo i principi del diritto internazionale. Cioè chiedono processi giusti per le vittime e i presunti autori. La situazione drammatica che vivono le famiglie detenute nei campi di Al Hol, 45 mila nel 2023 o nelle prigioni dove sono detenuti circa 10 mila accusati di appartenenza all ISIS portano a una situazione paradossale. Le richieste di sostegno da parte della AANES per un tribunale internazionale disattese dalla composita “comunità internazionale” si trovano a rispondere alle accuse di violazione dei diritti umani dei detenuti da parte di organismi umanitari come Amnesty Internacional. Quando nel gennaio 2022 commando del ISIS, provenienti dalle zone controllate dalle milizie filo turche assaltarono la prigione di al-Sinaa a Hassaké dove erano detenuti 4000 militanti, nulla sulla stampa internazionale si è detto sulle complicità storiche della Turchia di Erdogan, la Grande Porta girevole sull’esistenza del ISIS e delle milizie fondamentaliste siriane. Come nel caso della regione di Afrin che faceva parte dalla AANES invasa nel gennaio 2018 dal’ esercito turco e dalle milizie proxy siriane che hanno instaurato un regime di terrore e di pulizia etnica contro i curdi che a quella data rappresentava il 95% della popolazione. Attualmente meno del 20%. Una operazione quella cinicamente chiamata da Erdogan “Ramoscello d’ulivo” che trovò appoggio e sintonia da Erdogan stesso, Stoltemberg, Putin, Hamas e Al Joulani leader di Hayat Tharir an Sham, una fazione uscita da Al Qaeda, che controlla la regione siriana di Idlib. Una pulizia etnica e culturale e di genere con la costruzione di insediamenti per famiglie di milizie fondamentaliste finanziati da Turchia Qatar e associazioni palestinesi. Su tutto questo il silenzio pesante anche di chi denuncia il colonialismo in tutte le sue forme. Per i diritti umani “il dovere che abbiamo è per e con gli altri” forse dovremmo rispondere alla domanda: “chi ci sta uccidendo, derubandoci della vita e della luce, beffandoci con la visione di quello che avremmo potuto conoscere?”