«Teneteci nelle vostre preghiere». Racconti intermittenti da Gaza

Mona Ameen, 32 anni, è una studiosa e ricercatrice di Gaza, laureata presso la Al-Azhar University e specializzata presso l’Islamic University in letteratura inglese. Mona vive, o meglio viveva fino al 12 ottobre 2023, a nord della striscia di Gaza, nella zona di Beit Hanoun vicina al valico di Herez, insieme alla sua famiglia: la mamma Nawal, il papà Ameen, e suo fratello minore Kereem. Kareem durante l’attacco israeliano su Gaza del 2014, mentre era in casa seduto sul divano, è stato colpito dalla scheggia di una bomba e ha perso un piede e la mobilità della gamba. Le sue sorelle Maha e Samar e suo fratello maggiore Mustafa vivono vicini, con le rispettive famiglie.

Mona ed io ci siamo incontrate per la prima volta nel 2015 attraverso un progetto che si svolgeva nella Striscia di Gaza a cura dell’associazione milanese Psychologists for Human Rights. La finalità del progetto era quella di promuovere lo scambio tra giovani studiosi e studiose italiane e di Gaza sui temi dei diritti umani e della salute mentale. Da quell’incontro, la nostra collaborazione è proseguita attraverso la sua partecipazione – da remoto in quanto Mona non ha mai avuto il permesso israeliano o egiziano di lasciare la striscia – al laboratorio He.Co.Psy (Health, Conflict and Psychologists) coordinato dal professore Guido Veronese dell’Università di Milano-Bicocca, dove lavoro. 

Quelli che seguono sono i messaggi che Mona Ameen mi ha mandato dall’8 ottobre ad oggi. Racconti intermittenti da Gaza.

Domenica 8 ottobre 

Ciao cara, io sto bene. 
Siamo molto preoccupati, specialmente durante la notte. Ti ringrazio per avermi chiesto e scritto. Fino ad ora non hanno bombardato!

Martedì 10 ottobre

Non abbiamo né elettricità né internet. La situazione oggi è davvero terribile. Io e Kareem siamo usciti un’ora fa per andare a prendere qualcosa da mangiare e appena siamo scesi dall’auto hanno bombardato una torre a cento metri da noi. Stavamo per morire.. sento ancora il male al petto per la paura. 
Grazie per avermi scritto, apprezzo molto la tua preoccupazione.

Mercoledì 11 ottobre

Sempre una follia.. Non smettono un attimo di bombardarci. Sembrano davvero impazziti, sembrano fare tutto a caso. Riesco a malapena ad avere internet.. riusciamo a malapena ad avere qualsiasi cosa. Potremmo morire da un momento all’altro! 
Pregate per noi! 

Venerdì 12 ottobre

Ciao Federica, grazie per avermi mandato le foto delle richieste di cessate il fuoco. Vedere la vostra solidarietà fa una grande differenza per noi. Oggi siamo stati costretti a lasciare la nostra casa.
Teneteci nelle vostre preghiere.

Mona Ameen, la madre e la sorella

Sabato 13 ottobre

Buongiorno cara, sono ancora viva. 

No, non c’è modo di poter tornare a casa. Hanno bombardato il nostro quartiere, che ora è inabitabile. 
Se ci sarà una tregue proveremo a capire se c’è modo di avvicinarsi al nostro quartiere, Inshalla, per vedere se troviamo qualcuna delle nostre cose.
Sono molto stanca e esausta, non so come fare a sopportare tutto questo. Al momento siamo a casa di mia sorella, ma anche qui è pericoloso..

Martedì 17 ottobre

Mi dispiace non farmi sentire. Faccio fatica a trovare la rete per scriverti. Facciamo fatica anche a trovare cose da mangiare e da bere. Stanno bombardando molto pesantemente. Ho parlato con una persona che dice che forse c’è la possibilità di lasciare Gaza. 
Ti prego, se senti qualcosa rispetto a queste possibilità scrivimi!

Venerdì 27 ottobre

Sono viva, ancora sopravvivo e soffro. 
Mi sento senza speranza, un corpo senza anima. Sono passate quasi tre settimane e non è cambiato nulla. Quello che riesco a raccontarti tramite questi messaggi è meno dell’1% di quello che sta succedendo e di quello che stiamo incontrando ogni giorno. Siamo in 12 persone qui a casa di mia sorella. Manca il cibo e l’acqua. Ognuno di noi ha due datteri per colazione, un panino al formaggio per pranzo e una tazza di latte per cena se c’è il latte e l’acqua per diluirlo, altrimenti altri due datteri. Non c’è gas per cucinare, manca il denaro per comprare qualsiasi cosa, non c’è abbastanza acqua per fare la doccia e lavarsi. Ho avuto le mestruazioni qualche giorno fa e non ho potuto lavarmi perché non c’è acqua, non ci sono assorbenti, non c’è niente. 
A volte per la mancanza di energia, per via del fatto che non mangiamo, non riesco nemmeno a muovermi o a parlare.

Sabato 27 ottobre

Come faccio a caricare il mio telefono? 
C’è una piccola clinica accanto alla casa di mia sorella, le cliniche e gli ospedali hanno il carburante e quindi l’elettricità.  Andiamo lì per caricare i nostri telefoni e per prendere un po’ d’acqua. È poca e non sempre c’è. Inoltre, non sempre si può andare perché bombardano dappertutto, anche vicino agli ospedali. Anche gli ospedali.. dovresti vedere con i tuoi occhi cosa c’è qui intorno!

Domenica 29 ottobre

Mi dispiace se ti sto facendo preoccupare. Venerdì Israele ha tolto la connessione e la rete. Non c’era la possibilità di contattare né il mondo esterno a Gaza, né quello interno. Se avevi bisogno, nessuno poteva chiamare un ambulanza o un parente vicino. Eravamo tutti isolati. Venerdì è stata una notte di sangue, avremmo potuto morire ma grazie a Dio siamo sopravvissuti.
Non abbiamo l’elettricità per vedere le notizie in TV. Ascoltiamo però la radio tutto il tempo. Ieri sera hanno trasmesso i suoni e le dichiarazioni di una protesta in Giordania. Si sentivano sullo sfondo le persone cantare, protestare e urlare molto forte. Ho pianto perché da qui, da dove sono, non posso nemmeno sapere se le persone fuori dalla Palestina sono solidali con noi oppure no, se chiedono il cessate il fuoco.

Quando ho sentito quei canti alla radio, ho pensato che sì, le persone si stanno muovendo e che questa guerra potrebbe essere fermata presto se le persone continuano a muoversi e a protestare.

Domenica 5 novembre

Non posso dire che stiamo bene, non stiamo affatto bene. Ho perso molti amici e molti vicini, è un miracolo che io sia ancora viva. Ieri hanno ucciso le tre ragazze a cui insegnavo l’inglese e che vivevano sopra di noi. Sono state uccise insieme a loro padre. Noi dormiamo e ci svegliamo piangendo.
Ringrazia tutte le persone che provano ad aiutarci da li o che si adoperano per raccogliere soldi per noi, per favore. Questi soldi saranno solo per le necessità di acqua e di cibo, se ne rimarrà qualcosa sarà per ricostruire di nuovo le nostre case, se ci diranno che possiamo tornare a vivere lì. Sai, metà del nostro edificio è caduto e ci sono enormi danni all’interno della nostra casa. 
Ovviamente.. questo, di nuovo, se sopravviviamo..
Non preoccuparti cara. Ho fatto intanto un debito con una persona qui e abbiamo comprato delle cose per bere e mangiare. Quando saremo in grado, potrò restituire i soldi che devo. 

(giorni e giorni di silenzio)

Sabato 18 novembre

Sto bene, sono viva. Ho attraversato molte sofferenze e difficoltà in questi giorni. Non ti ho scritto perché è stato impossibile avere accesso alla rete.

Negli ultimi giorni non siamo stati affatto bene, io e Kareem. Lunedì scorso ci siamo separati dalla nostra famiglia. Abbiamo deciso di correre il rischio e di muoverci verso sud, anche se a sud non conosciamo nessuno. Kareem si è tolto la protesi alla gamba e ha usato le stampelle, in modo che se fosse successo qualcosa avrebbe potuto correre velocemente. 

I militari israeliani ci hanno fermato al checkpoint. Per accedere a sud, nelle zone che dovrebbero essere meno pericolose, hanno creato un varco all’interno della quale sono installate luci e telecamere. Prima e dopo questo passaggio, siamo stati in coda per ore sotto il sole. Continuano a umiliarci, a stancarci, ad affamarci, e a sfinirci. 

Tu cammini nella strada e i soldati sono alla tua destra e alla tua sinistra. C’è un numero enorme di carri armati, camion e jeep, e tutti ci puntano le armi contro. Anche le artiglierie, se si muovono, le dirigono contro di noi. I soldati usano megafoni in modo che tutti noi possiamo sentire i loro ordini. Si rivolgono a noi in arabo, in arabo corretto dicono “cammina“. Noi allora camminiamo per esempio per cinque o dieci secondi, ti puoi immaginare? Poi ci ordinano di fermarci per quasi dieci o quindici minuti o più. E all’improvviso ci ordinano di sederci a terra e di voltarci verso di loro. Siamo rimasti seduti per quasi mezz’ora sotto il sole cocente. 

Si concentrano maggiormente sugli uomini, li arrestano prendendoli davanti a tutti. Ad esempio, chiamano “quello che ha in mano un sacchetto bianco e indossa una maglietta nera, vieni qui”, gli ordinano allora di togliersi tutti i vestiti e mostrarsi nudo verso di noi. Alle volte hanno chiesto di raccogliere polvere e terra da terra e di mettersela su tutto il corpo. Se rifiutiamo i loro ordini ci sparano immediatamente. 

Inoltre, hanno permesso che cinquanta o più dei loro veicoli passassero davanti a noi, innalzando la bandiera israeliana per rendere l’atmosfera piena di polvere. Ero così sporca quel giorno, avevo le ciglia piene di polvere.  

Siamo partiti da casa alle 11:00 e siamo arrivati alle 17:30. Nei giorni normali questa distanza la avremmo coperta in meno di un’ora. 
Durante la strada hanno continuato a colpire le zone circostanti con esplosioni molto forti, hanno anche aperto il fuoco contro di noi, a caso, per terrorizzarci. Quando siamo arrivati qui a Rafah, ci siamo diretti in una delle scuole gestite dalle Nazioni Unite. Purtroppo erano tutte piene e l’amministrazione si è rifiutata di ammetterci. Siamo quindi venuti qui, in una scuola governativa. Ci hanno accettato a fatica perché anche questa scuola è piena. Ho dormito per terra usando come coperta i vestiti che avevo portato con me nello zaino, ma è stato inutile: la notte mi congelavo e piangevo chiedendomi se avrei potuto rivedere ancora la mia famiglia. 
Per fortuna sono riusciti a raggiungerci qui.

Nella scuola è un’altra storia, un’altra difficoltà, fatta di lotta, di privazioni, di sofferenza. Il giorno dopo il nostro arrivo, di notte, ho avuto una grave influenza per via dell’aver dormito per terra. In realtà non ho chiuso occhio, ogni singolo osso del mio corpo mi faceva male. Quando sono così malata, a casa posso prepararmi una zuppa calda e prendere le medicine. Ogni giorno sogno la mia casa. Qui nella classe il primo giorno eravamo con altre sei famiglie tutte insieme.

Lunedi 21 novembre

Ciao cara, si sono sempre qui, a Rafah.

Ti ricordi la nostra zona? E la nostra casa in cui sei venuta a trovarci? Ti ricordi il nostro Iftar in cucina e noi a dormire nella mia stanza? Non è più la stessa zona, se la vedi non ci credi. Non c’è più niente, è solo deserto.

Nella scuola dove siamo è molto difficile poter mangiare e bere perché è una scuola governativa e non delle Nazioni Unite, non c’è lo stesso fornimento di cibo e acqua. Cibo e acqua arrivano solo ogni tre o quattro giorni. Per l’acqua la compriamo al mercato. Dormiamo ancora per terra usando una coperta leggera o i nostri vestiti per coprirci.

Martedì 19 dicembre

Ciao mia cara, come stai? 
È tanto che non scrivo, lo so. Non puoi sapere come è difficile avere la mente capace di scrivere.. Ti mando queste parole, che ho scritto durante il percorso… Ho smesso di scrivere da quando siamo arrivati qui perché non ho capacità, energia. Ho solo freddo, tanto freddo, e fame.

“Con un dolore indicibile, sono ancora viva. Scrivo da Al-Shaikh Radwan, un quartiere nel nord di Gaza,  dopo che io e la mia famiglia siamo stati evacuati dalle nostre case, in seguito ad una chiamata dell’esercito che ci diceva di andarcene subito. Ho vissuto la Nakba (catastrofe).

Abbiamo dovuto lasciare tutto dietro di noi e nessun posto è sicuro. Qui dove siamo ora i bombardamenti sono vicini. Ogni giorno qualcuno viene ucciso. Quando senti le bombe arrivare, chiudi gli occhi e speri di sopravvivere. Una delle ultime esplosioni era davvero vicina. Non ho sentito nessuno gridare o chiamare aiuto. Sapevo che se c’era qualcuno vivo, era stato ucciso. Dopo pochi minuti mi sono avvicinata al balcone per vedere dove fosse. Era una casa a quasi 100 metri da noi. Le ambulanze non erano ancora arrivate. I vicini si affrettavano a scendere con i loro cellulari per far luce e cercare tra le macerie nel tentativo di trovare qualcuno vivo. 

Venti minuti dopo, o poco più, sono arrivate quattro ambulanze. Hanno iniziato a tirare fuori i corpi da sotto le macerie, la maggior parte dei quali erano stati fatti a pezzi. In quel momento e in ogni momento sotto questo brutale attacco, volevo piangere, piangere fino alla morte o alla fine di tutto questo. 

Il 13 ottobre c’è stato un bombardamento terrificante, con diverse esplosioni forti e molto ravvicinate e un rumore di vetri e pietre che si disperdevano ovunque. Erano le 6:30. Eravamo dodici e abbiamo deciso che bisognava provare a mettersi in salvo, uscendo da casa, nonostante i pesanti bombardamenti, le schegge e la caduta di vetri e pietre. Un’altra Nakba. Abbiamo raggiunto l’ospedale di Al-Rantisi, il rifugio più vicino a noi, camminando da soli tra le strade e i detriti. La visibilità era quasi nulla a causa del blackout e del fumo delle esplosioni. Dopo aver camminato per un po’, abbiamo incontrato una famiglia che, come noi, era fuggita da casa per via dei pesanti bombardamenti. Abbiamo camminato insieme in silenzio. Uno di loro ha preso una pesante borsa da mio nipote per alleggerirlo e gli ha dato la sua piccola e leggera borsa, senza dire una sola parola.

Alla fine siamo arrivati all’ospedale di Al-Rantisi, dove abbiamo trovato a malapena un posto dove sederci, tanto era affollato. Quella è stata la prima volta nella nostra vita in cui abbiamo dormito per terra. Io non ho dormito, aspettavo solo l’alba, sperando di tornare a casa. Continuavo a toccare le braccia e i volti dei miei nipoti per assicurarmi che fossero caldi.
Al mattino siamo tornati nella casa da dove eravamo partiti, quella di mia sorella. 

Da quando è iniziata la guerra, non riusciamo a riposare. Non dormiamo, ma sveniamo per la stanchezza e la fatica. Ci svegliamo nel cuore della notte, se dormiamo, per il rumore degli attacchi aerei e dei bombardamenti dell’artiglieria. Cominciamo fin dal primo mattino a distribuire i compiti della giornata che ci servono per sopravvivere. Ci preoccupiamo per i nostri amici e parenti a Gaza se non riceviamo messaggi per ore. Riceviamo notizie di amici e vicini dispersi e uccisi. Sentiamo notizie di famiglie cancellate dalla terra, per sempre. 

Come può essere reale tutto questo?

Mercoledì 20 dicembre

Ciao Fede.
Non va molto bene, la vita a scuola è impossibile. 
Non si riesce a mangiare.. Un kilo di riso sono 60 shekel, se lo trovi. Si muore di fame e di sete. E di freddo.
Non ci sono giubbotti caldi. Nessuno ha vestiti pesanti. Ieri non riuscivo a dormire dal freddo. Mio padre mi ha dato una delle sue coperte che stende sotto di lui quando dorme. Che dire Federica, abbiamo perso tutto, abbiamo perso la cosa più importante che avevamo. Abbiamo perso la nostra dignità.

Mercoledì 27 dicembre

Siete vivi? Mi chiedono… Siete stanchi?
È l’83° giorno di guerra e il 46° giorno di partenza forzata dal nord. Sono ancora viva, ma stanca, esausta, frustrata, depressa e ho sempre freddo.

Ho sempre amato l’inverno e i giorni di pioggia, ma questo inverno è un mostro per me. Durante i giorni di pioggia mi sentivo la persona più felice del mondo. Ora, quando sento il rumore della pioggia, mi preoccupo perché la pioggia significa che farà freddo, che non ci sarà energia solare per ricaricare il telefono, che l’acqua piovana riempirà il cortile della scuola dove si riesce a malapena a camminare. Il freddo può penetrare nelle ossa quando sei un senzatetto e se sei un senzatetto ti sveglierai ogni notte per il dolore alle ossa. 

È il giorno 83 e sto ancora perdendo amici, vicini e parenti. Se ne sono andati senza avere la possibilità di dire addio, senza salutare. 

A volte, a causa dello stress, della pressione e della difficoltà della vita qui nel sud, ci diciamo l’un l’altro: sarebbe meglio se fossimo rimasti al nord e fossimo morti lì invece di venire a Rafah. Nonostante la vita al nord sia la morte. Non c’è vita lì, le persone che restano lì o saranno martirizzate, o moriranno di fame, o saranno ferite e sanguineranno fino a morire, quindi tutte le strade del nord portano alla morte. 

Qui, nella scuola, la vita non assomiglia affatto a quella che uno vive a casa… È una vita simile alla strada. Non c’è chiarezza, non c’è calma, dentro la classe si vive con quasi 40 persone. Fuori dalla classe si vive con quasi 2500 persone sfollate. Non so se mi capirai, credo che non si possa capire fino in fondo cosa vuol dire avere una casa finché non la perdi. Ed è inverno. Avete festeggiato il natale? 

È difficile qui. Ci si rivela a tutti, si perde la propria privacy e si perde se stessi. Per andare in bagno bisogna aspettare almeno un’ora, non è facile fare la doccia, né lavarsi i denti o i capelli. Penso molte volte prima di andare in bagno. Nei giorni normali a casa nostra bevevo quasi tre litri d’acqua al giorno. Ora bevo a sorsi dalla bottiglia in modo da non dover andare spesso in bagno.  È il giorno 83 e rispondere ai propri bisogni primari è impossibile. Conseguire cibo, acqua e gli oggetti fondamentali richiede uno sforzo enorme. Quando mi guardo allo specchio vedo quanto è cambiato il mio aspetto, quanto sono dimagrita a causa della guerra e della mancanza di cibo. Non ti riconosci, ti senti come un’altra persona in un altro mondo. 

Il primo giorno a Rafah abbiamo incontrato alcune persone che conosciamo, che erano con noi a nord prima della guerra. Hanno pianto molto quando ci hanno visto, sono rimaste scioccate da ciò che la guerra ha fatto a noi nel nord e da come la guerra ha cambiato le forme dei nostri corpi, dei nostri volti. 

Cara Federica non so se puoi capire come la guerra può trasformarti in uno scheletro, in un’altra persona, in qualcuno che non conosci. Come la guerra può lasciarti senza niente, letteralmente senza niente. Finisce perfino che non riesci più a riconoscere e ritrovare nemmeno te stesso.

Nella scuola non vivi solo il genocidio delle bombe. Ci sono tante altre guerre qui. C’è la guerra della fame, la guerra delle epidemie e delle malattie, la guerra del freddo, la guerra del cibo e dell’acqua, la guerra del ciclo mestruale con la paura della mancanza di assorbenti, la guerra del parto all’interno della scuola, la guerra del calmarsi in queste condizioni difficili, la guerra del lutto e del rimpianto dei nostri cari. La guerra di essere dentro il ciclo persistente della paura di perdere qualcuno della propria famiglia. 

Tutte queste sono guerre, non so se quando lavoriamo su queste cose ci pensiamo. Secondo te? Ci pensiamo?

Per 83 giorni i rumori dei droni non si sono fermati. Tu dirai, li conosciamo bene questi rumori. Non è come prima, questa volta il drone fa molta più paura. Porta i bombardamenti. I bombardamenti a Rafah sono ovunque, non c’è un posto sicuro, ogni luogo è pericoloso. Qui a Rafah abbiamo iniziato a ricevere messaggi e chiamate per evacuare in un altro luogo. Ti dicono di andare a destra e sinistra e poi bombardano dove ti sei fermato, mentre ti sposti, non importa dove vai. E poi. Dove vai? Hai in mente quanti siamo? Hai in mente come è piccola Gaza? Fino ad ora ci hanno sfollato quattro volte.

Questo orrore, paragonato alla realtà, non può essere ridotto a parole e concetti. E le persone da fuori chiedono: Siete stanchi?

Martedì 30 gennaio

Cara,
Non ti ho scritto da tempo perché è difficile trovare le energie, la forza per farlo. La connessione internet è un privilegio che non ho spesso, le forze ancora meno. C’è freddo, fame, sonno. Alle volte mi chiedo se ha senso. Poi penso di sì. Devo ringraziarti e ringraziare Sarah, perché mi avete permesso di scrivere, spinto a scrivere e a raccontarvi di questa guerra. E mi avete ascoltato. Questo mi ha aiutata a sopravvivere psichicamente, credo, durante questa guerra. Quando finivo di scrivere mi sentivo in qualche modo sollevata.

Giovedì 1 febbraio

118° giorno di guerra.

Siamo stati evacuati diverse volte, abbiamo perso amici, persone care e case. 
Non so quanto tempo mi resta qui. Ma so che la stanchezza ha preso il controllo della mia mente e del mio corpo. La stanchezza mi sta divorando lentamente. Sto ancora sognando un momento di riposo nella mia casa, sdraiata sul letto nella mia stanza, la cui immagine lascia mai la mia immaginazione. Continuo a immaginare di essere lì, nella mia umile e bella stanza. Sto ancora sognando di passare del tempo tranquillo nella nostra casa, lontano da questo caos. Sto ancora sognando la sicurezza quando esco, invece di essere terrorizzata dal drone o da un bombardamento improvviso mentre cammino. Sto ancora sognando giorni e notti calde, da quando la vita è diventata solo freddo, pensieri eccessivi, paura e ansia. 

È il 118° giorno e l’occupazione sanguinaria continua a uccidere i nostri cari e a creare scompiglio. Teneteci nelle vostre preghiere.

Giovedì 8 febbraio

Le cose non vanno per niente bene, siamo molto preoccupati per la situazione, per come procederà. Stanno arrivando a Rafah.
Questa volta se ci evacuano, ci ritroveremo in strada! Spero tanto di riuscire a fare il Ramadan in Egitto. Ormai manca meno di un mese! Ho paura,  ho paura di perdere qualcuno della mia famiglia se arrivano qui a Rafah. Ho paura che mi succeda qualcosa anche a me.
Non voglio che vengano a Rafah. Davvero…

Venerdì 16 febbraio

È il giorno 133 del genocidio.
L’estate è passata, l’autunno se n’è andato e l’inverno è arrivato, un anno è finito e uno nuovo è appena iniziato. Intere famiglie sono state spazzate via e noi siamo ancora qui, soli ad affrontare il genocidio. Soli, ad aspettare che la morte arrivi in un qualsiasi momento. 

È il giorno 133 e contiamo il cibo, l’acqua, persino l’aria. È il giorno 133 di genocidio e io sto ancora aspettando un momento in cui potrò ridere, guardare un film, svegliarmi in una casa, mangiare quello che voglio e che amo, mangiare il mio cioccolato preferito e bere il mio caffè preferito. Parlare con le persone dei miei interessi e dei miei sogni, non della guerra e delle notizie del giorno. Sto ancora aspettando il giorno in cui svegliarmi in un ambiente sano, lontano da contaminazioni e infezioni. È il giorno 133 di genocidio e ci stanno ancora evacuando da un luogo all’altro, attraverso una strage e un’altra. 

È il giorno 133 di genocidio ma sai, ancora non ci siamo abituati e non credo che ci abitueremo. Per 133 giorni di genocidio stiamo ancora aspettando che il mondo si muova, che fermi questo genocidio. 

Per 133 giorni ci siamo chiesti quali sono le scene di brutalità che il mondo sta aspettando di vedere per fermare questo genocidio?

Lunedì 19 febbraio

Vedo che continuate a postare e a manifestare. Il vostro supporto significa tantissimo per noi. Spero che il mondo, se non ascolta noi, ascolti voi e che fermino questo genocidio.

Stanno arrivando. Stanno arrivando a Rafah.