Dalla finestra. Le fotografie di Hayahisa Tomiyasu

Dopo le interviste al fotografo australiano Rovenko e a Valentina Vannicola abbiamo avvicinato il giovane e talentuoso fotografo giapponese Hayahisa Tomiyasu, autore del libro TTP, vincitore del Mack Book Award 2018, giunto oggi alla terza ristampa, un evento decisamente raro per un libro fotografico. Un lavoro poetico che raccoglie una serie di immagini scattate dalla finestra dell’appartamento all’ottavo piano dell’artista a Leipzig, in Germania. Il centro del lavoro è un semplice tavolo da ping pong all’interno di un parco pubblico che assume in ogni fotografia una funzione diversa. Da lettino dove sdraiarsi a prendere il sole a tavolo da picnic, da appoggio per due innamorati a riparo per un forte temporale a plancia per fare ginnastica. I rimandi a questo tema dell’osservazione del mondo da una finestra sono infiniti, e tutto ciò che si muove attorno al tavolo acquista una forte e nuova intensità.

Ma sono proprio la serialità e la riflessione sul valore del tempo ad accompagnare tutti i lavori di Tomiyasu, attingendo a qualcosa che è strutturale in molta della costruzione artistica orientale e che in modo diverso ci affascina proprio per una diversità radicale rispetto al modo di pensare occidentale. Dove si nasconda veramente questa diversità non è certo semplice capirlo e probabilmente nemmeno Tomiyasu ha dato chiavi sufficienti per sciogliere i nostri dubbi. Di sicuro il suo modo di osservare la quotidianità regalandole spesso qualcosa di “magico” stimola il nostro sguardo a stupirsi davanti alle semplici cose quotidiane. Il lavoro vincitore del Mack Book Award è inoltre affascinante se si pensa a come questo sia nato, e come il suo autore ne racconta poeticamente nella quarta di copertina del volume: “On saturday August 14th, 2011 I went for a walk at around 3.00pm. Down Tarostrasse, then Strasse des 18. Oktober. As I was turning the corner of German National Library veering into Curiestrasse, I came across a fox. From my angle I could see the right side of its body. The distance between us was rather short”. Due settimane dopo la volpe ricompare agli occhi del fotografo che sta guardando fuori dalla sua finestra in direzione del campo sportivo, arrivando a gironzolare intorno a tavolo da ping pong che diventerà il teatro del suo progetto, senza mai più ricomparire.

A differenza dei precedenti fotografi incontrati ciò che questa volta abbiamo portato a casa è risultato per certi aspetti lontano dalle aspettative e particolarmente spiazzante, al punto da pensare in alcuni casi di aver trovato uno specchio che restituiva in modo affermativo le nostre domande, portandoci a riflettere sul fatto che spesso una risposta è nascosta nella domanda stessa. Inoltre, un elemento che ci offre ancora nuovi quesiti è il fatto di aver compiuto diversi passaggi di traduzioni tra l’italiano e il giapponese, nonostante le nostre domande siano arrivate all’intervistato in una doppia traduzione, in giapponese e inglese, e dove quest’ultima lingua è stata per noi la “terra di mezzo” dove ci siamo incontrati ricevendo le sue risposte. 

Ricordiamo infine che le immagini che accompagnano questa terza intervista sono tutte estrapolate da serie ed invitiamo pertanto il lettore ad approfondirle sul sito dell’artista o sui suoi libri.  

TTP © Hayahisa Tomiyasu

Come nasce il tuo rapporto con la fotografia?

Quando avevo sei anni, mio padre mi diede una macchina fotografica, una Fujica Auto 5 usata. Sono passati 27 anni. Poi mi ha invitato a documentare  una vacanza con la famiglia. La prima fotografia mostra il nostro aereo in attesa all’aeroporto. Il giorno successivo, 28 marzo 1990, abbiamo visitato lo zoo di Hong Kong. Ero davvero eccitato non solo per gli animali, ma anche perché era la prima volta avevo una macchina fotografica con me allo zoo; ho fotografato cose che hanno catturato la mia attenzione e mi hanno affascinato: un aereo, un treno, uccelli, spettacoli di coccodrilli. 

Così, un paio di giorni dopo, mio padre tornò a casa dal lavoro con un sacchetto di plastica in mano. Aveva il logo del negozio di foto. Dall’espressione della sua faccia potevo dire cosa c’era nella borsa. Non riuscivo a smettere di pensare a tutte le fotografie che scattavo e ricordo bene quanto mi divertivo a fotografare il mondo. Ma anche il sorriso sul viso di mio padre e il sacchetto di plastica.

Gli sono corso incontro, gli ho preso il sacchetto di plastica dalle mani, l’ho aperto e dentro c’erano anche le foto dello zoo. Ho iniziato a urlare come non avevo mai fatto prima. “Merda! Queste sono veramente le foto che ho fatto? Non riesco a vedere nulla. Non mi dicono nulla dello zoo e di cosa è successo lì. Avevo altre foto in mente. Perché gli uccelli sono così piccoli? Perché non ho visto queste sbarre? La fotografia è inutile”. Queste foto mi ricordano la prima esperienza di delusione non solo di me stesso, ma anche della fotografia e dei suoi risultati. Guardando ora indietro capisco che questa è stata solo la prima delusione di molte altre a venire.

Da molti anni vivi in Europa, pensi che questa scelta abbia influito sulla tua crescita artistica e in che modo? 

Sono sempre stato un estraneo in Europa, ovunque andassi, ma penso che sia proprio in questo continuo dover fare i conti con gli oggetti e le situazioni che mi circondano che si sviluppa la capacità di comprendere senza bisogno di troppe spiegazioni. Penso che questo sia uno dei fattori che mi ha influenzato di più. 

© Hayahisa Tomiyasu

Lavori più spesso col bianco e nero: puoi spiegare come mai? 

L’informazione veicolata dal colore di solito non è necessaria, per questo solitamente lavoro con il bianco e il nero. 

Ci sono fotografi particolarmente importanti per la tua crescita umana e professionale che potresti considerare dei maestri? 

Ho studiato alla Visual Academy Leipzing e frequentato il corso di Peter Piller, quindi il mio modo di lavorare è stato in parte influenzato da lui.

Sei già arrivato alla terza ristampa del tuo libro, cosa si nasconde in quella storia di così importante? 

Il preambolo della volpe di cui parlo nel libro e l’ordine delle immagini racchiudono completamente il messaggio che voglio veicolare. Ho incontrato una volpe e notato il piatto, ed ho semplicemente iniziato ad osservarli. È semplice, non c’è nessun’altra storia che ho voluto raccontare con quelle immagini.
Ad oggi siamo alla terza ristampa: questo significa che molte persone riescono a capire cosa accade in quelle fotografie, e ne sono felice.

Quale pensi che sia oggi la responsabilità di un fotografo? 

A prescindere dal fatto che tu sia un artista oppure no, tutti abbiamo delle responsabilità al momento. Non sento di dire che gli artisti abbiamo delle responsabilità particolari, o diverse dagli altri.

Ammesso che si possa fare questo pensiero, cosa caratterizza secondo te oggi larte orientale e cosa quella europea, e in che modo si possono incontrare? 

Trovo questa domanda molto interessante ma, sfortunatamente, non sono uno storico dell’arte e non mi sento in grado di dare una risposta adeguata.

In molti tuoi progetti si percepiscono uno spaesamento, solitudine, estraneità… Sono sentimenti che provi? 

Sinceramente non ho mai notato quello che hai trovato nelle mie foto, ma se provi una tale sensazione quando vedi una mia serie, è possibile che questa sia una delle mie nature. 

Tu lavori sempre per sequenze, (vengono in mente i maestri della pittura giapponese come Hokusai); cosa ti porta a procedere in questo modo? 

Una sequenza racconta una storia: questo è quello che apprezzo di più nel lavoro in sequenza. Inoltre, trovo che lavorare per sequenze mi aiuti a scoprire l’essenza delle immagini che catturo.

© Hayahisa Tomiyasu

Quando scatti le tue foto (a livello interiore) dove sei? 
Da nessuna parte. Sono dove sono e vedo ciò che ho davanti agli occhi. 

Hai un modo particolare di usare i social network: su Instagram non ci sono i tuoi lavori professionali ma qualcosa di diverso, puoi provare a raccontarci cosa? 
Uso Instagram più per hobby. Mi piace andare al museo, dove spesso trovo crepe, buchi, cose del genere, e mi attraggono più delle opere d’arte stesse. Ho scattato foto di questi particolari che hanno catturato la mia attenzione e le ho semplicemente caricate su Instagram.

Ci racconti del tuo rapporto col la musica? 
Suonavo un po’ quando ero piccolo, ma niente di più. Ascolto musica di vario genere, a seconda di quello che ho voglia di ascoltare.

Spesso unisci alle fotografie la scrittura che sembra viaggiare su altre linee, cosa è per te questo scrivere e dove ti porta? 
Uso il testo soltanto quando è strettamente necessario per dire di più sull’origine dell’idea. Immagini e parole possono completarsi a vicenda, ma io preferisco usare poche parole, o non usarle per niente.

Cosa vedi quando ti guardi in uno specchio? 
Vedo ciò che c’è nello specchio.

Quanto è importante per te guardare fuori dalla finestra? 
Fa parte della vita di tutti i giorni. Se c’è una finestra in una stanza, puoi vedere ciò che c’è fuori. Ciò che è importante per me è che tutti compiamo questa azione senza pensare troppo.   

C’è una foto che non sei riuscito a fare e che è rimasta dentro di te? 
Non mi viene in mente nulla. 
___

Intervista di Filippo Trojano insieme a Riccardo Abati, Laura Altobelli, Patrizia Buffone, Andrea Cibra, Dario De Biaggio, Alessia Farina, Ercole Grispo, Giuliana Pizzuti, Paolo Vescovo. Traduzione per il giapponese di Irene Donati

© Hayahisa Tomiyasu