“E terra, e acqua, e vento | Non c’era tempo per la paura | Nati sotto la stella | Quella più bella della pianura”. Comincia così, nel segno di un rapporto viscerale con la propria terra d’origine, la canzone La pianura dei sette fratelli dei Gang.
Già dal titolo di questo brano si evince un elemento imprescindibile nella celebre vicenda dei fratelli Cervi: il legame ineliminabile con la pianura Padana, con il mondo contadino all’interno del quale – siamo nelle campagne del reggiano – si sarebbe sviluppata tutta la loro storia di uomini, di contadini e di antifascisti.
Raccoglie idealmente questo testimone anche Federico Attardo, autore del volume a fumetti I sette fratelli Cervi. Una famiglia antifascista, pubblicato dall’editore BeccoGiallo nel 2024, più o meno di questi tempi, in occasione della ricorrenza della Liberazione che quest’anno segna l’80° anniversario.
Nel racconto di Attardo la pianura e il paesaggio emiliano diventano addirittura il soggetto narrante, i testimoni silenziosi – per i protagonisti, non per il lettore – di una vicenda che si dipana dagli anni ’30 ai giorni nostri, toccando il suo tragico culmine nei drammatici mesi della Resistenza.





Seguendo l’esempio dell’Istituto Alcide Cervi che ne conserva la memoria, infatti, l’autore esplora le peculiarità di quella che si rivela essere tutt’altro che una famiglia di semplici contadini, dediti come sono allo studio delle tecniche agricole, ancor prima che all’attivismo politico.
Costretti nel 1934 a lasciare i terreni dove lavoravano come mezzadri, i Cervi si “mettono in proprio” con intraprendenza e spirito d’iniziativa, adottando tecniche innovative per rivitalizzare terre tradizionalmente considerate improduttive e acquistando, tra i primi della zona, un trattore per il lavoro nei campi.
La prima parte del racconto, dunque, rende conto di una famiglia non solo profondamente legata alle proprie terre – che a un certo punto diventano proprie anche di diritto – ma anche autonoma e profonda nel pensiero: caratteristiche, queste, fin dall’inizio poco compatibili con il regime fascista.
Accompagnati dal forte potere evocativo delle tavole di Attardo, che ritraggono una campagna spesso oscura e a tratti quasi infinita con campiture solide e decise, si arriva al 1943, ai mesi che decideranno le sorti dell’Italia come quelle della famiglia Cervi.
Sette figlioli, sette
Sette fratelli, a chi li do?
Ci disse la pianura
Questi miei figli mai li scorderòSette uomini, sette
Sette ferite e sette solchi
Ci disse la pianura
“I figli di Alcide non sono mai morti”
Ancora una volta, la pianura prende la parola per raccontare le ore drammatiche del 25 novembre 1943, quando una squadraccia fascista incendia casa Cervi per costringere gli uomini a uscire, con l’obiettivo di eliminare un luogo ormai diventato riferimento per partigiani e antifascisti.
Dopo circa un mese di carcere a Reggio Emilia, il 28 dicembre 1943 alle 6,30 del mattino i fratelli Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore, di età compresa tra 42 e 22 anni, vengono fucilati al poligono di tiro della città. Solo il padre Alcide è risparmiato.
Non è semplice, dopo oltre ottant’anni, trovare modi nuovi ed efficaci per raccontare una storia così nota, ripetuta così tante volte da essere ormai un patrimonio culturale della memoria collettiva italiana, quanto meno per quella parte d’Italia che ancora si riconosce nei valori dell’antifascismo.
Avvicinandosi alla vicenda in punta di piedi, con un approccio rispettoso ma quasi trascendente, a tratti spiazzante, Federico Attardo riesce nell’intento di produrre un’opera riuscita perché unica nel suo genere, un omaggio lontano tanto dalla ricostruzione didascalica quanto dalla celebrazione retorica.
Sarà forse per questo che nel chiudere il libro dopo aver letto le ultime pagine, compreso l’apparato bibliografico curato dall’Istituto Alcide Cervi, si ha la sensazione di essere lì, nelle campagne reggiane, per un ultimo saluto che riporta alla mente, ancora una volta, La pianura dei sette fratelli.
E in quella pianura
Da Valle Re ai Campi Rossi
Noi ci passammo un giorno
E in mezzo alla nebbia
Ci scoprimmo commossi