L’Ungheria di Orbán alla prova dei diritti LGBT

Viktor Orbán ha vinto ancora. Con un risultato schiacciante lƏ elettorƏ ungheresƏ hanno confermato lo strapotere di Fidesz alle urne: 53% dei voti contro il 35% degli avversari.

Neanche il fronte unito dei partiti di opposizione è stato in grado di arginare l’avanzata dell’onda autoritaria che già da anni si sta espandendo nel Paese, e Orbán si è detto molto soddisfatto del risultato: “Questa nostra quarta vittoria consecutiva è la più importante, perché abbiamo conquistato il potere contro un’opposizione che si era alleata. Si sono alleati tutti e noi abbiamo vinto lo stesso” ha dichiarato. “Abbiamo vinto anche a livello internazionale contro il globalismo. Contro i media mainstream europei. Fidesz rappresenta una forza conservatrice patriottica e cristiana. È il futuro dell’Europa. Prima l’Ungheria!” ha concluso con un ritornello ben noto negli ambienti della destra populista.

Le elezioni comunque non sembrano essersi svolte nel più trasparente dei modi. L’ONG Hungarian Civil Liberties ha denunciato brogli e irregolarità tra cui l’organizzazione di autobus per portare le persone alle urne e il ritrovamento di schede elettorali bruciate appena oltre il confine rumeno, nella regione a maggioranza ungherese, e per la prima volta l’OCSE ha mandato i suoi osservatori in un paese dell’UE per verificare la correttezza del voto.

Già nei mandati precedenti il governo di Orbán si era scontrato con l’Unione Europea a causa dei suoi aperti attacchi allo stato di diritto, per aver limitato la libertà di stampa e l’attività della magistratura.

Poche settimane prima dell’invasione dell’Ucraina il Premier si era recato in Russia per incontrare Putin e l’Ungheria è stato l’unico Paese a non voler inviare aiuti in armi a Kiev né a confermare le sanzioni a Mosca.

Ma una delle maggiori aree di scontro con le democrazie europee rimane sicuramente quella dei diritti umani, e in particolare quelli della comunità LGBTQIA+, che Orbán ha eletto a nemico della nazione.

Le elezioni del 3 aprile 2022 non hanno visto solo la riconferma del mandato governativo ma anche un molto discusso referendum sulla cosiddetta “propaganda LGBT”. Con la consultazione popolare Orbán voleva mostrare di avere il consenso popolare su una legge fortemente discriminatoria emanata dal Parlamento di Budapest all’inizio di luglio dello scorso anno.


Il provvedimento, definito dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen “una vergogna”, proibisce la condivisione di contenuti riguardanti l’omosessualità e la riassegnazione di genere a persone di età inferiore ai 18 anni e arriva dopo molte altre azioni discriminatorie contro la comunità LGBTQIA+.


Nel dicembre del 2020 la costituzione ungherese è stata cambiata modificando sia la definizione di famiglia che quella di matrimonio per escludere deliberatamente le identità LGBTQIA+.

È stato sancito che la madre è una donna e il padre è un uomo, e che l’unico matrimonio riconosciuto è quello eterosessuale, vietando l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

Della situazione attuale dei diritti della comunità LGBTQIA+ e del referendum del 3 aprile ho parlato con Dorottya Redai, attivista dell’associazione lesbica Labrisz che il Times ha inserito nella lista delle 100 donne più influenti per il suo impegno negli studi di genere e per i diritti LGBTQIA+.

La prima cosa che mi dice quando ci colleghiamo su Skype, ancora prima di entrare nel vivo dell’intervista, è che non è affatto ottimista rispetto a ciò che sta accadendo nel suo Paese.
Chi, come me, ha vissuto in Ungheria e conosce bene le sue dinamiche socio culturali saprà che gli ungheresi nascondono un certo orgoglio nel definirsi pessimisti, ma dal tono della sua voce mi rendo conto che questo è un sentimento più profondo, una grande disillusione per l’ennesima sconfitta sul piano dei diritti e delle libertà.

Per rompere il ghiaccio le chiedo quale sia la sua percezione rispetto alla situazione della comunità LGBTQIA+ dopo le elezioni.

“Non sappiamo che cosa aspettarci” mi dice. “Ma io credo che il Governo non si fermerà. Hanno scelto di trasformare la comunità LGBT nel nemico e questa si è rivelata essere una mossa di successo, nonostante i tentativi di opposizione. La gente comune crede davvero che quella che chiamano “propaganda LGBT” debba essere arginata, o altrimenti i bambini verranno trasformati in omosessuali o transgender. Gira questa idea che se non ci si oppone sconosciutƏ se ne andranno in giro per le scuole materne a parlare di omosessualità e riassegnazione del genere forzando i bambini a voler diventare così anche loro, e altre sciocchezze simili.” Fa una sorriso amaro. “Davvero, molta gente ci crede, ma allo stesso tempo ci sono anche molte più persone che sostengono la comunità LGBT, che si rendono conto che non siamo pericolosƏ e che difendere i nostri diritti fa parte della democrazia.”

Questa spaccatura tra chi sostiene la linea del Governo e chi invece la rifiuta corre principalmente sulla linea dell’appartenenza politica più che su quella dell’appartenenza sociale o geografica.
“Naturalmente nelle aree più povere dove c’è un minor livello di istruzione è più facile convincere la gente, ma ci sono anche persone molto istruite che credono nella propaganda governativa. Attualmente la situazione è molto peculiare perché praticamente tutto il Paese è filogovernativo e ha votato per FIDESZ, ad eccezione di Budapest. Su 23 distretti della capitale solo in uno l’opposizione non ha preso la maggioranza dei voti; possiamo dire che Budapest rimanga un po’ il baluardo della democrazia e qui ci sono meno persone che supportano la campagna d’odio contro la comunità LGBT rispetto al resto del Paese.”

La questione dei diritti LGBTQIA+ ha catturato l’attenzione dei media internazionali in questo ultimo mese per via delle elezioni e del referendum ma gli attivisti hanno sempre avuto un occhio di riguardo per l’Ungheria dal momento che la deriva autoritaria del Governo di Orbán non è esattamente una novità, così le chiedo come sono cambiate le cose negli ultimi anni e se si è percepito un peggioramento.

“La situazione è precipitata dopo il 2020 quando FIDESZ ha avuto l’idea di trasformare la comunità in un nemico, associando le persone omosessuali ai pedofili e lanciando la campagna di protezione dei bambini contro quella che chiamano devianza sessuale.”

La stessa associazione Labrisz di cui Redai è attivista è stata colpita da questa ondata propagandistica. Nel 2020 la casa editrice dell’associazione ha pubblicato un libro per bambini, Meseország mindenkié (Il paese delle favole per tutti), che riscrive le fiabe della tradizione in un’ottica inclusiva con personaggi appartenenti a gruppi minoritari o discriminati, migranti, poveri, rom, persone con disabilità e naturalmente della comunità LGBTQIA+. Nel gennaio del 2021 la vendita del libro è stata sottoposta all’obbligo di un disclaimer dove si dichiarava che le storie in esso contenute rappresentavano comportamenti non conformi ai tradizionali ruoli di genere, e dopo l’emanazione della legge del 7 luglio 2021 è stato bandito totalmente dalle librerie.
Oltre a questo il libro ha scatenato un polverone mediatico e Labrisz è stata travolta da una forte campagna di diffamazione. L’associazione ha perfino querelato un organo di stampa filogovernativo che aveva paragonato il loro attivismo alla pedofilia, ma il 1 febbraio di quest’anno il tribunale ha dato ragione al giornale dichiarando che l’affermazione contenuta nell’articolo non lede la reputazione di Labrisz.

“Anche prima del 2020 esistevano forme di discriminazione legislativa ma erano più subdole. Negli ultimi tre anni invece la retorica è diventata molto più forte” continua Redai, “nel tentativo di isolare le persone LGBT dal resto del Paese. Questo è un regime autocratico e Orbán si pone come un padre che protegge la popolazione dalle minacce esterne, che sia la comunità LGBTQIA+, i migranti o l’Unione Europea che ci vuole colonizzare.” 

Ride. “Hanno paura di fantomatici attivisti transgender che da Bruxelles verranno nelle nostre scuole materne a pervertire i nostri bambini. Questo ti dice davvero tutto.
C’è l’idea di un’Occidente corrotto che vuole imporre la sua ideologia sull’Ungheria, un’ideologia dalla quale dobbiamo proteggerci, che ci è aliena perché noi siamo un paese tradizionalista. Questa era una retorica che veniva usata anche durante il regime comunista; a quanto pare è una delle preferite dei nostri governanti.”

A questo punto le chiedo che cosa ne pensa del referendum. Infatti, nonostante la consultazione popolare sia stata invalidata dal mancato raggiungimento del quorum circa il 93% di coloro che hanno espresso un voto valido si sono pronunciati a favore della legge contro la “propaganda LGBT”.

“Io leggo i dati diversamente, perché credo che la stragrande maggioranza delle persone che sono andate a votare per le elezioni abbia votato anche per il referendum, e questo era esattamente quello che il Governo voleva, ma la maggior parte ha votato scheda nulla anche perché non c’era una vera alternativa. Le domande erano poste in modo manipolativo, tale per cui non era davvero possibile rispondere sì. ”

Nella fattispecie le quattro domande erano: Lei è a favore di eventi informativi sull’orientamento sessuale per i minori in istituzioni educative pubbliche senza il consenso dei genitori? Lei è a favore di trattamenti di riassegnazione di genere sui minori? Lei è a favore dell’esposizione indiscriminata di minori a contenuti mediatici sessualmente espliciti che potrebbero influire sul loro sviluppo? Lei appoggia il fatto che a minori vengano mostrati contenuti mediatici sulle procedure del cambio di genere?

“Noi come attivisti volevamo che le persone votassero scheda nulla perché era l’unico modo per invalidare il referendum. I numeri sono molto simili a quelli dei risultati delle elezioni. Quasi tutti quelli che hanno votato no ai quesiti del referendum hanno votato per FIDESZ e quasi tutti coloro che hanno scelto scheda nulla o sì (ci sono stati qualche centinaio di voti per il sì ma anche quello credo sia stato una sorta di voto di protesta) hanno votato per l’opposizione.
In ogni caso, i risultati del referendum per noi sono stati davvero sorprendenti. Come coalizione di organizzazioni LGBT e organizzazioni di legal advocacy e diritti umani abbiamo messo moltissima energia nella campagna di sensibilizzazione per il referendum, ma personalmente non mi aspettavo che così tante persone avrebbero votato scheda nulla. È stata una grande vittoria e questo ci rende leggermente più ottimisti perché ci ha mostrato che abbiamo abbastanza forza per mobilitare le persone. D’altro canto però, se Orbán ci percepisce come forti ci colpirà con più energia, per così dire. Non mi piace molto usare questo vocabolario mutuato dalla guerra ma di fatto quella che stiamo combattendo è una guerra psicologica.”

Le chiedo che genere di azioni si aspetta quando dice che i Governo colpirà più forte.

“Da un lato credo che cercheranno di attaccare le organizzazioni LGBT con controlli fiscali più rigidi e inasprendo la legislazione sulle ONG, che già negli ultimi 10 anni è diventata un ginepraio in cui è molto difficile orientarsi. Del resto se devi passare il tempo a risolvere problemi burocratici e amministrativi non ti restano molte energie per fare attivismo. Oltre a ciò c’è il fatto che Orbán non ha riconosciuto il risultato del referendum. Dal momento che tutta quella gente ha votato contro la “propaganda LGBT” lo ha ritenuto un successo e ha detto che il compito del Governo adesso è quello di proteggere la legge. Praticamente il referendum non aveva nessun senso di esistere, perché i quesiti riguardavano aspetti già regolati dalla legge del 7 luglio 2021. Una delle prospettive è che, dal momento che la legge sulla propaganda è molto vaga, per esempio non prevede sanzioni ma agisce solo attraverso l’intimidazione delle persone e creando autocensura, si potrebbero renderla più concreta ed effettiva, introducendo sanzioni e maggiori restrizioni, non tanto sulle persone LGBT quanto sulle organizzazioni. Naturalmente spero che questo non accada, ma non sono molto ottimista in proposito.”

A questo punto il discorso si sposta su una prospettiva intersezionale. Il discorso populista di Orbán non colpisce solo la comunità LGBTQIA+ ma anche altre fasce della popolazione. In Europa sono note le sue posizioni contro i migranti e contro i Rom, e sono curiosa di sapere quali sono le interconnessioni tra le diverse forme di oppressione nel Paese.

“Per quanto riguarda i diritti delle donne e la questione dei ruoli di genere il Governo si colloca sulle posizioni conservatrici dell’estrema destra quindi in ottica totalmente anti-gender. Io mi occupo di educazione e vedo che questo si concretizza anche nelle politiche educative, come l’insegnamento dei tradizionali ruoli di genere, il rendere invisibili le persone LGBT eccetera. Queste cose non sono nuove, sono state inserite nel curriculum scolastico già nel 2012. Una delle conseguenze di questa impronta è quella di voler tenere le donne all’interno dei ruoli tradizionali; c’è un enorme sforzo per proteggere la cosiddetta famiglia tradizionale, cioè la famiglia nucleare etero normativa che come sappiamo non è poi così tradizionale.
In più sono meccanismi di supporto familiari che sono molto discriminatori, che incentivano le famiglie etero normative della classe medio-alta a fare più figli, mentre penalizzano le famiglie più povere o appartenenti ad altre etnie, come le famiglie Rom, che anche se hanno un tasso di natalità più alto, spesso hanno tre o più figli, non ricevono nessun genere di aiuto dallo Stato.”

La campagna antidemocratica ha avuto meno fortuna su altri temi come ad esempio l’aborto. Ogni volta che il Governo ha tentato di limitarne l’accesso si è scontrato con una forte opposizione. In Ungheria le posizioni conservatrici e patriarcali del Governo non hanno un forte fondamento religioso come ad esempio in Polonia o in Italia, sebbene naturalmente ci sia supporto reciproco tra lo Stato e le diverse Chiese.

Secondo Redai: “Non è tanto la Chiesa a influenzare la politica ma piuttosto è il Governo a utilizzare le Chiese per scopri di propaganda, e in cambio le Chiese ricevono grandi quantità di fondi pubblici. Comunque tutta questa campagna anti-gender non viene dalla Chiesa come in altri Paesi ma viene da dentro il Governo.”

Come ultimo argomento parliamo delle vicende del libro Meseország mindenkié, di cui Redai è curatrice. La censura e la messa al bando del libro non ha un peso solo politico che si colloca all’interno della campagna d’odio contro la comunità LGBTQIA+, ma anche educativo e va a ledere i diritti dei bambini che il Governo tanto si premura di proteggere.

Secondo il Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti del Bambino la mancanza di appropriata e completa educazione sessuale mette a repentaglio i diritti dei bambini di dare e ricevere informazioni, inoltre crea un grave vuoto di rappresentazione minando così non solo il diritto alla salute ma anche quello all’identità.

“È un vero peccato che sia stato strumentalizzato così” mi dice quando le chiedo del libro. “Il motivo per cui abbiamo creato questo progetto era proprio quello di dare rappresentazione ai bambini delle minoranze, ma anche perché gli altri bambini potessero conoscere meglio e immedesimarsi in altre realtà. La nostra organizzazione ha un forte orientamento all’educazione, e anche se i nostri programmi sono stati ostacolati dalla legge continuiamo comunque a lavorare. Pubblicando questo libro il nostro intento era pedagogico, non politico.

È il primo del suo genere in Ungheria, e lo abbiamo voluto proprio perché la rappresentazione delle minoranza manca in generale e anche nella fiabe. Inoltre abbiamo scelto intenzionalmente di non renderlo un libro solo di rappresentazione LGBT ma di renderlo intersezionale, includendo altri gruppi discriminati. È veramente un peccato che sia stato così politicizzato perché volevamo lavorarci in un’ottica pedagogica, e abbiamo anche iniziato a farlo fornendo training aglƏ insegnanti che vogliono proporlo in classe, ma naturalmente sono molto pochƏ. Purtroppo i nostri programmi non ricevono molta attenzione da parte delle scuole pubbliche per via della legge.

Intendiamo comunque continuare il nostro lavoro nonostante le restrizioni, e il libro ha avuto molto successo fuori dall’Ungheria. Ad oggi è stato tradotto in cinque lingue e verrà pubblicato in altre cinque (tra cui l’italiano, lo svedese e il francese) entro la fine dell’anno anche se non è facilissimo trovare editori. È stato pubblicato perfino in polacco.” Ride. “Non chiedermi perché il Polonia non ha sollevato nessun polverone, forse i politici di là non si sono resi conto del contenuto”.

Quando le dico che possiedo la mia copia del libro in ungherese sorride. “Bè, è un libro che va benissimo anche per gli adulti”, e mi fa promettere di farle sapere qual è il mio racconto preferito una volta che avrò finito di leggerlo.

Dorottya Redai, attivista dell’associazione lesbica Labrisz in Ungheria