I territori palestinesi non erano affatto disabitati quando arrivarono i primi coloni sionisti nel 1882, e i leader sionisti ne erano ben consapevoli. Molto prima che vi si insediassero le prime colonie, alcune organizzazioni ebraiche inviarono una prima delegazione esplorativa per sondare il terreno; questa si espresse così: la sposa è bella, ma è sposata a un altro uomo”.

Quanto si è detto e scritto sull’utilizzo strumentale della memoria, sulla manipolazione dei fatti attraverso le narrazioni che, ripetuta ossessivamente, finiscono per diventare realtà? Ancora troppo poco, in generale e in Palestina in particolare.

Le storiche e gli storici, a volte, non bastano. Perché non sono indipendenti, oppure perché non sono ascoltati. O ancora, come Ilan Pappé, sono ostracizzati. Pappé è una storia nella storia tra le infinite storie della Terra Stretta, quella Palestina occupata e colonizzata da un progetto politico – il sionismo – che poi si è fatto etnocrazia e ha imposto un regime di apartheid ai palestinesi.

Tra gli israeliani, però, ci sono anche gli Ilan Pappé, che ha passato la vita non a difendere i palestinesi, ma gli israeliani stessi, dalle narrazioni delle classi dirigenti del sionismo prima e del governo israeliano dopo.

Nato ad Haifa, a metà degli anni Cinquanta, è stato un esponente di punta di quel movimento chiamato dei Nuovi Storici in Israele, accademici e ricercatori che hanno deciso di non accettare la narrazione politico – militare – religiosa volta a cancellare i corpi e le storie di milioni di palestinesi. E per questo hanno pagato caro.

Oggi Pappé insegna a Exeter, in Gran Bretagna, dove dirige l’European Centre for Palestine Studies. E in Israele è un ‘paria’.

Questo libro, tradotto in italiano da Federica Stagni, ha un dono: mettere in linea – in modo chiaro e feroce – alcune, dieci per la precisione, delle narrazioni più feroci sulle quali una macchina di disinformazione ha lentamente eroso le basi del diritto internazionale e della solidarietà verso i palestinesi.

10 miti su Israele, pubblicata nel 2107 e oggi finalmente in Italia – con una postfazione di Chiara Cruciati – grazie a Tamu Editore, che riesce sempre a essere necessaria, si rivolge a chi crede di avere un’opinione sulla questione palestinese, qualche volta anche in buona fede. Solo che quell’opinione, quasi sempre, si fonda su menzogne.

Non si rivolge ai palestinesi, che portano la loro storia sulla loro pelle, non agli attivisti, che lo denunciano da anni, non alla classe dirigente israeliana, che lo sa benissimo: si rivolge a chi crede di sapere.

Sono dieci, spiegati e documentati, con la serietà dello studioso e l’indignazione della persona per bene. “Il popolo senza terra per una terra senza popolo”, è solo la più famosa delle manipolazioni, almeno come quella del “far fiorire il deserto”. Un popolo c’era, e non viveva nel deserto, ma era nelle stesse identiche società arabe sotto il dominio ottomano, scosse dal nazionalismo e dal crollo dell’Impero. Solo che alla Palestina è toccato un destino differente.

Prima di tutto per le spinte del messianesimo protestante, che dall’Inghilterra dell’800 arriva fino all’entourage di George W. Bush, che prevede una Gerusalemme ebraica come antefatto all’avvento del nuovo messia.

E poi, tutto il resto. Il mito che non chiama il sionismo per quello che è: un progetto coloniale. Che definisce gli ebrei un popolo senza terra, quando la maggioranza degli ebrei in Europa non sentiva alcun legame con Israele come entità politica, perché non esisteva, ma anche e soprattutto perché si sentivano legittimi cittadini delle società. E che non vedevano nella nascita di uno stato nazionale sulla terra di altri – la soluzione all’antisemitismo in Europa.

E ancora la mitologia degli accordi di Oslo e Camp David, che sembravano accordi solo a chi non voleva vedere che non si trattava alla pari, la disumanizzazione di Gaza, che chi ha avuto la fortuna di guardare con i propri occhi può smentire a fatica, per la pervasiva feroce aggressione narrativa che viene fatta dai media e dai governi.

Un libro per chi crede di sapere, ma non sa, ma utile in generale per capire davvero le radici di quello che si continua a chiamare guerra, conflitto, ma che è la più brutale operazione di colonialismo del Novecento.

Il ritiro unilaterale da Gaza, la mancanza di partner credibili tra i palestinesi, fino ai crimini di guerra del ’48 e delle aggressioni dopo il 2000, ogni volta pi sanguinose e criminali. Passando per i miti della guerra del ’67 e di Israele ‘costretto a occupare i territori’.

La verità è una, e lo storico Pappé non si tira indietro di fronte al nazionalismo, perché racconta solo quello che ha trovato nei documenti. Fin da principio, per le classi dirigenti sioniste prima e del governo israeliano dopo, il problema è uno solo: liberarsi dei palestinesi e cancellarne il ricordo.

Quello che cambiava erano le convinzioni su quale fosse il modo migliore di praticare questa pulizia etnica e quello che vediamo oggi è il risultato: la prigione a cielo aperto di Gaza, i bantustan in Cisgiordania, punizioni collettive e regime militare ai civili.

Si spera sempre che la Storia renda giustizia, ma senza storici coraggiosi e onesti, sarà molto dura.

Il libro di Ilan Pappé