Accordi Italia – Libia: oltre la politica, per la dignità

Oggi, 26 ottobre 2022, oltre trenta organizzazioni della società civile italiana e le realtà del Tavolo Asilo e Immigrazione saranno in piazza per chiedere al governo Meloni appena insediato di non rinnovare gli accordi con la Libia. L’appuntamento è per le 17.30, a Roma, in piazza dell’Esquilino.

Accade da quando questi accordi sono nati, nel 2017. Da allora, fino all’11 ottobre scorso, oltre 85.000 persone sono state intercettate in mare dai guardia coste libici e riportate in Libia.

Bisogna dire, urlare, #NonSonoDaccordo, come recita lo slogan dell’iniziativa.

Dalla fine del 2016, i paesi dell’Unione europea hanno attuato una serie di misure per bloccare le rotte migratorie dalla Libia attraverso il Mar Mediterraneo. La cooperazione è poi aumentata considerevolmente con l’adozione del Memorandum d’intesa firmato da Italia e Libia nel 2017 e con l’adozione della Dichiarazione di Malta, sottoscritta dai leader dell’Unione europea a La Valletta il giorno dopo.

Questi accordi costituiscono la base di una costante cooperazione che affida il pattugliamento del Mediterraneo centrale ai guardacoste libici, attraverso la fornitura di motovedette, di un centro di coordinamento marittimo e di attività di formazione.

Gli accordi sono stati seguiti dall’istituzione della zona SAR libica, un’ampia area marittima in cui i guardacoste libici sono responsabili del coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso.

Queste politiche di contenimento hanno lasciato centinaia di migliaia di donne, uomini e bambini a languire in Libia.

Rifugiati e migranti che tentano di partire su imbarcazioni precarie vengono intercettati in mare dai guardiacoste libici in parte finanziati proprio dal governo italiano e poi riportati in Libia, dove sono trattenuti a tempo indeterminato in centri di detenzione in condizioni orribili e rischiano violazioni su base giornaliera.

Perché ogni anno che passa, e ogni governo che passa, rinnovare questi accordi ci pone di fronte al giudizio della storia. Quelli riportati nelle mani di trafficanti e torturatori, che di istituzionale hanno solo il fatto di essere gli unici con i quali si possono fare accordi, sono uomini, donne e bambini che provengono da detenzioni arbitrarie, torture, trattamenti crudeli, inumani e degradanti, stupri e violenze sessuali, lavori forzati e uccisioni illegali.

Questo non lo sostengono le associazioni, dalle Acli al Centro Astalli, dal Cies alla Comunità Papa Giovanni XXIII, dalla Fcei ad Amnesty International Italia, da Fondazione Migrantes a Oxfam, passando per Emergency, ma tutte le principali organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani, tutti i principali media del pianeta e molte procure italiane e internazionali.

Perché quelle persone, abbandonate da tutti, in particolare da quell’Ue che si ricorda dei diritti umani solo quando gli conviene, subiscono orribili violazioni delle autorità libiche contro migranti e richiedenti asilo, tra cui detenzioni arbitrarie, trattamenti disumani ed estorsioni finanziarie diffuse all’interno delle carceri e dei centri di detenzione in Libia, come uno stesso rapporto del 2021 dell’Euro-Med Monitor ha documentato.

Attualmente, il numero di migranti e richiedenti asilo detenuti nelle carceri e nei centri di detenzione per migranti in Libia è di circa 13mila persone, che provengono da paesi per lo più africani, come Etiopia, Nigeria, Ciad, Niger, Sudan, Egitto e paesi del Maghreb arabo. La maggior parte di loro non desidera stabilirsi in Libia, ma piuttosto spostarsi dalle coste libiche all’Europa attraverso operazioni di contrabbando marittimo.

Sono intrappolati in un paese devastato dal conflitto, dove l’illegalità e l’impunità consentono alle bande criminali di prosperare. Molti, temendo per la propria vita e non avendo una via d’uscita sicura e legale dal paese, tentano di raggiungere l’Europa su fragili barche. Sempre più persone vengono fermate e riportate in Libia, a seguito delle misure messe in atto dai governi europei per chiudere la rotta marittima e contenere le persone in un paese non sicuro.

A ottobre 2022, un nuovo rapporto delle Nazioni Unite ha rivelato che i migranti in Libia sono soggetti a sistematiche violazioni e abusi dei diritti umani per costringerli ad accettare i cosiddetti rimpatri assistiti nei loro paesi di origine.

Gli autori del rapporto affermano che i migranti in Libia sono intrappolati in una situazione insostenibile. Dicono che i migranti siano costretti a scegliere tra tornare nei paesi da cui sono fuggiti a causa di condizioni insicure o insostenibili o subire continui maltrattamenti in Libia.

Il rapporto afferma che i migranti sono spesso costretti ad accettare il rimpatrio assistito per sfuggire a condizioni di detenzione abusive. Questi, dice, includono minacce di tortura, violenza sessuale, sparizioni forzate ed estorsioni.

Secondo le Nazioni Unite, dal 2015, le Nazioni Unite oltre 60.000 migranti sono stati rimpatriati in diversi paesi di origine in Africa e in Asia attraverso i cosiddetti programmi di ritorno assistito.

Ancora l’Onu denunciava come siano continui i raid anti-migranti della polizia. Vengono demolite case, persone vengono trascinate in carcere.

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Nada Al-Nashif, ha affermato: “La Libia e gli Stati coinvolti dovrebbero adottare misure immediate per affrontare urgentemente questa situazione insostenibile e inconcepibile. Le autorità libiche dovrebbero porre fine immediatamente a tutte le violazioni e abusi dei diritti dei migranti. Anche altri Stati hanno responsabilità qui: devono intensificare e fornire maggiore protezione ai migranti intrappolati in Libia aumentando percorsi di ammissione sicuri e regolari nei loro territori”.

Già, la responsabilità. Qui siamo oltre la politica. Non ha caso gli accordi sono stati stipulati il 2 febbraio 2017 dall’allora Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, Paolo Gentiloni, e dal Capo del Governo di Riconciliazione nazionale dello Stato della Libia, riconosciuto dall’Unione europea e dall’Italia, Fayez Mustapa Serraj. Da allora son cambiati governi e ministri, c’è stata una pandemia ed è scoppiata una nuova guerra, ma l’Italia ha continuato a infangare il nome di tutti i suoi cittadini rinnovando questi accordi. Rinnovando l’esternalizzazione del lavoro sporco, quel ‘fermare i migranti a tutti i costi’, lontano dagli occhi e dal cuore degli elettori.

E il governo uscente ha confermato la cessione alla Libia di altre 14 navi veloci per intercettare le persone. La commessa è stata aggiudicata definitivamente per 6,65 milioni di euro e si uniranno alle altre unità che partecipano alla violazioni dei diritti umani.

Un giorno, prima o poi, dovremo spiegare tutto questo. Oggi, in piazza, è l’occasione di dire #NonSonoDaccordo, perché anche questo servirà un domani, quando tutta questa follia ci presenterà il conto.

L’Unione europea e i suoi stati membri devono sospendere ogni forma di cooperazione – finanziaria, logistica, politica – che contribuisce a trattenere migranti e rifugiati in Libia e a far subire loro violazioni dei diritti umani. Bisogna invece lavorare all’apertura di percorsi legali per le migliaia di persone intrappolate in Libia e che hanno bisogno di protezione internazionale.

Il Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia scadrà nel febbraio 2023 ma sarà rinnovato automaticamente per altri tre anni se le autorità italiane non lo annulleranno entro il 2 novembre 2022. Bisogna fermarlo.

Crediamo in un giornalismo che si assume le sue responsabilità, che non nasconde un’opinione, ma la motiva con fatti e dati. E con quel rispetto delle norme di diritto internazionale, di rispetto della dignità umana, che sono l’unica idea di sviluppo nella quale ci riconosciamo.

Qui il testo dell’appello.

Qui il testo del Memorandum.