Oggi 17 aprile si celebra la Giornata Mondiale della Lotta Contadina, istituita da La Via Campesina nel 1996 in ricordo del massacro di diciannove contadini appartenenti al Movimento Sem Terra, a Eldorado dos Carajas, in Brasile, che vennero uccisi dalla polizia mentre manifestavano pacificamente per la terra e la giustizia.
Le lotte contadine, portate avanti da decenni da movimenti come La Via Campesina e il Movimento Sem Terra, sono riuscite a portare sul piano internazionale un dibattito spesso ignorato anche localmente, e hanno portato nel 2018 all’adozione della Dichiarazione delle Nazioni Unite per i diritti dei Contadini e delle Persone che lavorano in Aree Rurali.
In questo testo l’Assemblea Generale riconosce il diritto allo sviluppo come diritto inalienabile, e afferma che ciascunƏ deve poter partecipare, contribuire e godere dello sviluppo economico, sociale, culturale e politico. Il godere di questo diritto è alla base per poter garantire l’accesso ai diritti umani contenuti nelle altre dichiarazioni.
L’ONU parte proprio da riconoscimento dell’importanza dell’agricoltura e del mantenimento della
biodiversità come basi dell’alimentazione umana, specificando però come le aree rurali siano quelle più colpite da povertà, fame, malnutrizione, degrado ambientale e cambiamento climatico.
Quello che potrebbe sembrare un paradosso è in realtà presto spiegato proprio dalla diseguale distribuzione delle terre, ancora oggi (nonostante le varie riforme agrarie negli anni abbiano tentato di estinguere il fenomeno del latifondo) in mano a pochi attori privati o a partecipazione pubblica.
Questa situazione è peggiorata negli ultimi anni a causa del fenomeno chiamato land grabbing, ovvero l’accaparramento di terre (e acqua, nel caso del water grabbing) da parte di grossi gruppi industriali e aziende multinazionali.
Secondo il database di Land Matrix, osservatorio indipendente dei fenomeni di acquisizione della terra, ad oggi si sono conclusi 2158 contratti di acquisizione per un totale di 64,4 milioni di ettari. Altri 143 contratti sono in fieri e interesserebbero ulteriori 9,6 milioni di ettari.
I contratti possono essere di varia natura e destinare l’utilizzo della terra alla coltivazione di cibo per alimentazione umana, animale, per la creazione di energia, biocarburanti o legname, per il turismo o per l’industria.
Tra i Paesi che investono di più per acquisire terre fuori dai confini nazionali ci sono gli Stati Uniti, la Cina, il Regno Unito, l’Olanda e la Francia mentre tra i Paesi che ricevono più investimenti ci sono Ucraina, Mozambico, Brasile, Argentina, Ghana e Romania.
Oltre ai problemi di disuguaglianza economica e accesso alle risorse, il fenomeno dell’acquisizione della terra da parte di grandi investitori è anche un processo caratterizzato da un altissimo grado di opacità (favorito anche dall’alto livello di corruzione che esiste in molti Paesi) che consente agli attori di muoversi impunemente senza rispettare leggi nazionali e internazionali, diritti umani e culturali.
Molte delle terre oggetto delle concessioni si trovano su territori indigeni, e la loro cessione e sfruttamento non porta solo a gravi danni ambientali, ma anche sociali e culturali.
Nonostante la Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) garantisca alle popolazioni indigene il diritto di proprietà sulle terre occupate da generazioni e che qualsiasi decisione governativa di sfruttamento del terreno o delle risorse debba essere discussa e presa in concerto con le comunità locali, queste garanzie molto spesso non vengono rispettate.
L’accesso alla terra poi, non è soltanto un’importante questione di giustizia sociale e culturale, ma ha anche a che vedere con i meccanismi della sopravvivenza.
La grande industria agroalimentare produce per vendere sui mercati internazionali, causando ulteriori squilibri e svantaggiose riduzioni dei prezzi per i piccoli agricoltori. Avere la possibilità di occupare e coltivare la terra (e di avere accesso ai mercati) consente non solo di raggiungere la sicurezza alimentare (cioè avere abbastanza disponibilità di cibo per sopravvivere) ma anche la sovranità alimentare, ovvero il diritto a produrre autonomamente cibo sano, nutriente e appropriato dal punto di vista ambientale e culturale. La povertà alimentare nelle aree rurali (ma non solo) colpisce in modo particolare le donne che, sebbene molto coinvolte nel settore agricolo, spesso lo sono a livelli di sussistenza e senza percepire reddito dalle proprie attività. Secondo dati della Food and Agricultural Organizatio (FAO) le economie rurali si distinguono per una più marcata divisione dei ruoli in base al genere. Le donne spesso si occupano della produzione di cibo per la sussistenza della famiglia mentre gli uomini entrano più facilmente in contatto con la parte commerciale e i mercati internazionali. Nonostante questo stato di subordinazione economica e sociale le donne sono i maggiori fattori di sviluppo nelle aree rurali, e sono anche quelle che nei decenni si sono battute strenuamente per la giustizia sociale ed economica e la redistribuzione della terra.
Solo per fare qualche esempio ben un terzo dell’esercito ribelle zapatista, il movimento indigeno per i diritti dei contadini del Chiapas, in Messico, erano donne.
E donne sono anche Dolores Huerta e Berta Cáceres. La prima ha fondato la National Farm Workers Association e nel 1965 ha guidato lo sciopero dei lavoranti delle vigne nel sud degli Stai Uniti, contribuendo a ottenere salari migliori, benefici e protezione per migliaia di lavoratorƏ della terra.
Nonostante i numerosi arresti e le violenze subite a causa di atti di disobbedienza civile, scioperi e altre forme di manifestazione non violenta continua ancora oggi a lottare per la fine delle ingiustizie.
La seconda ha lottato tutta la vita per la salvaguardia dell’ambiente e dei territori Lenca contro gli attacchi del neoliberismo e del capitalismo e i tentativi di privatizzazione della terra e dei corsi d’acqua nel suo Paese, l’Honduras. Insignita nel 2015 del Goldman Environmental Prize è stata brutalmente assassinata a casa sua l’anno dopo, nel 2016, da persone presumibilmente legate alla DESA, la compagnia elettrica responsabile della costruzione della diga di Agua Zarca, contro cui Berta si era battuta strenuamente.
A lei la giornalista Nina Lakhami ha dedicato un bellissimo e approfonditissimo saggio edito in Italia da Capovolte Edizioni.