L’anticapitalismo non basta

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“Le vecchie fondamenta si stanno sbriciolando e quelle nuove non sono state ancora immaginate”. A metterci in guardia su una delle sfide più centrali di questo nostro tempo del collasso, era stata l’attivista per i diritti di genere e intellettuale afro-guyanese Andaiye (1942-2019). La raccolta dei suoi scritti, pubblicata postuma in inglese dalla casa editrice progressista Pluto Press, ha un titolo che varrebbe un programma politico: The point is to change the world

Di quelle vecchie fondamenta in frantumi e soprattutto di quelle ancora da immaginare ha scritto in due libri un giovane e molto promettente filosofo americano di origini nigeriane, Olúfẹ́mi O. Táíwò. Classe 1990, Táíwò è assistant professor alla Georgetown University e in appena sei mesi si è imposto al pubblico anglofono come una delle voci più interessanti sui temi della giustizia climatica, della decolonizzazione, dell’identità e del potere. 

Quando mi imbatto nella sua seconda opera, intitolata Elite Capture ed edita anch’essa da Pluto Press, è il mese del pride. È il periodo dell’anno in cui, su LinkedIn i brand virano tutti sull’arcobaleno e la battaglia per l’attenzione degli utenti/consumatori si sposta come non mai sul piano simbolico e identitario. Benché da anni ormai le aziende abbiano smesso di produrre merci per produrre marchi, mai come in giugno i brand si sforzano in massa per attivare quel processo di identificazione in un sistema di valori progressista e inclusivo, capace di nascondere – almeno per un mese – il nocciolo del capitalismo, fatto di sfruttamento e disuguaglianze stratificatesi nel corso della storia. 

Elisa Gianni

Da quando è bambina sogna di vivere di parole scritte e lette. Dopo qualche esperienza nel giornalismo e nei social, si è trasferita a Milano per lavorare al Festival dei Diritti Umani come assistente di direzione. Dal 2019 è co-curatrice del progetto Casa dei Saperi della Fondazione Adolfo Pini, sulle nuove utopie.

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