Il prezzo da pagare se nasci in un paese iper machista

«Mi chiamo Ilenia Di Mauro, in arte Fukinsei, sin da piccola ho fatto musica, ho studiato violoncello al conservatorio Bellini, suonavo in un’orchestra e cantavo in un ensemble. Degli eventi personali mi hanno spinta ad abbandonare tutto ma non ho mai smesso di essere affamata di ascolti. Nel 2019 mi sono approcciata al digging, poi ho deciso di trovare la mia strada, era una spinta che non potevo più ignorare». Ilenia Di Mauro è una dj, label manager, conduttrice radiofonica e scrittrice di origini siciliane che da anni vive a Roma. Tra i vari generi che suona ci sono Dark Break, Footwork, Hardcore Jungle, Hip Hop e Rave. 

«In alcuni contesti mi trovo quasi a dovermi giustificare per essere lì a suonare. Spesso ho a che fare con team tecnici che mi trattano come se potessi esclusivamente performare e non capissi niente di quello che faccio», racconta. «Ovviamente questo non succede ovunque, lungi da me generalizzare. A Roma nei contesti più grossi dove ho suonato c’è una disponibilità incredibile. Ma nel contesto da cui provengo, quello del clubbing underground e delle occupazioni rimane forte un network maschile. Non si può parlare di scena di una città se non si considerano anche le dj/producer/musiciste attive su quel territorio, tutto il resto  è autoreferenzialità. Per me la scena è tale quando sa guardare la complessità che la abita. Non basta avere il bollino di “safe clubbing e gender equity” nel proprio manifesto. La direzione artistica migliore è quella che tiene conto di tutto ciò che ha attorno». 

Il problema del gender gap del mondo underground, del clubbing, ma anche dei festival è un problema strutturale.

Uno studio di Elia Alovisi, pubblicato su Vice nel 2018, fa emergere il rapporto percentuale tra donne e uomini nelle line up di alcuni festival italiani: nel campione preso in esame l’82% era composto da uomini o band di soli uomini, il 10% da donne o band composte da sole donne, l’8% da gruppi con almeno una donna in formazione.

Studio di Elia Alovisi, pubblicato su Vice nel 2018, link all’articolo: https://www.vice.com/it/article/qvxgnw/i-festival-italiani-hanno-un-problema-con-le-donne

È indubbio che negli ultimi anni le cose siano migliorate a livello internazionale e, sebbene con ritmi più lenti, anche nei festival italiani. Ma le “quote rosa” in console non bastano a eliminare un bias che nasce dalla supremazia dell’uomo sulla donna e sulle soggettività queer.

«Nel clubbing e nella scena rave di Roma c’è un asset principalmente maschile. In alcune crew di riferimento per i generi musicali che spingo, ci sono uomini molesti e nel peggiore dei casi violenti ma che sono abilitati a essere direttori artistici, come se la musica fosse una cosa e la vita reale un’altra. Non c’è una presa di posizione», spiega Ilenia Di Mauro. «Sempre a Roma, facevo parte di un collettivo che ho lasciato perché ero in mezzo a uomini che mi dicevano che musica dovessi fare, che ero poco in linea con il collettivo e le sue sonorità, che snobbavano le mie proposte artistiche, le mie esigenze tecniche e pratiche. Quando parlavo di inclusione artistica, trovavo disinteresse. Mi è sembrato chiaro dopo un po’ che mi avessero coinvolta per mettere un bollino “diversity approved” al collettivo piuttosto che per una reale stima, in termini personali e artistici. Fortunatamente non è sempre così, ci sono realtà e direttori artistici che mi hanno dato piena fiducia dal primo momento». 

Aumentare il numero di donne in console, senza parallelamente portare avanti un lavoro strutturale e culturale, rischia di rimanere una mossa di marketing che ben si posiziona nella politica del pinkwashing. «La direzione artistica di alcuni format ha capito che esiste il problema del gender gap, quindi invita a suonare le donne o di contorno alla timetable, o in eventi in cui non c’è una vera proposta artistica, ma solo di genere. Quando, però, questo non trova un riscontro duraturo nell’equilibrio delle proposte a cadenza fissa, a cosa serve?», si chiede Ilenia Di Mauro. Finché l’inclusione delle donne avverrà solo per una questione di marketing e alla base dei rapporti professionali continuerà ad essere alimentata la discriminazione e lo svilimento della figura femminile, allora l’unica soluzione resterà per le donne quella di auto organizzarsi.

«Oggi le donne si stanno organizzando. Si creano network femminili per dare vita ad un ambiente più variegato ma anche per una questione di mutualità.

Confrontarti con persone che hanno vissuto esperienze simili alle tue ti fa sentire meno sola, specialmente quando sei stata vittima di molestie da parte di uomini che ti hanno sessualizzata e hanno sfruttato la propria posizione privilegiata per ricattarti economicamente o mortificarti.

È auspicabile che i network maschili e femminili entrino in relazione e che comprendano a fondo cosa significhi avere le stesse capacità e possibilità. Per me il futuro del femminismo sono gli uomini, quando avranno veramente voglia di essere partecipi delle difficoltà delle loro amiche, sorelle e  compagne, si potrà pensare ad un equilibrio», dichiara la dj.

Una prospettiva che sembra ancora lontana in Italia, dove il gender pay gap riferito al reddito medio annuo da lavoro autonomo tocca il 45%, come riferiscono i dati OECD.

«Penso che una giovane donna che voglia intraprendere questa strada debba convivere con un grande senso di inadeguatezza e di colpa. Rimanere fedele a se stessa è l’unico consiglio che penso di poter dare, seguire la propria strada e non doversi mai giustificare per aver qualcosa da esprimere attraverso la musica. Avere dei modelli di donne, o di persone che si identificano come donne, con cui confrontarsi è fondamentale – consiglia Ilenia Di Mauro – tutte, a qualsiasi livello, abbiamo avuto gli stessi problemi». 

Secondo il report FACTS 2020 pubblicato dal network “female:pressure”, improntato al supporto e alla promozione di artiste donne e di altro genere* nel campo della musica elettronica, c’è stato un incremento del 25% di presenze di dj donne negli ultimi 8 anni (prima del 2020). Un risultato che però non riguarda l’Italia e che si mantiene comunque ben distante dall’obiettivo del programma Keychange della Fondazione PRS per i festival internazionali, il quale si proponeva di raggiungere una ripartizione di genere 50/50 entro il 2022.

«In ambito di produzione di eventi e comunicazione siamo più numerose ma, talvolta, questo è sintomo di un’esclusione da altri settori. La donna deve avere le stesse opportunità degli uomini, anche in ambiti più creativi come quello della direzione artistica e delle mansioni manageriali – dice Di Mauro – è uno stereotipo quello delle donne con più cura dei dettagli e più premurose, le relega a certe mansioni e le esclude da altre. Non siamo tutte uguali, siamo persone con una complessità caratteriale immensa, esattamente come gli uomini».

Un modo per provare a sradicare il colosso patriarcale dal mondo della musica è quello di trasformare quest’ultimo in uno spazio che non sia solo di divertimento e marketing, bensì anche di scambio e approfondimento politico e sociale. Far sì che i festival abbiano un approccio meno capitalistico e che creino al proprio interno spazi di discussione sulle varie contraddizioni da cui sono attraversati. Come afferma Ilenia Di Mauro: «È essenziale che la musica sia un posto in cui si discute. La musica non può esimersi dall’affrontare ciò che le capita intorno: la disparità di genere, la mancanza di inclusione per tutte le categorie sottorappresentate, lo sfruttamento sfrenato delle risorse culturali e materiali. Mi piacerebbe che queste tematiche venissero affrontate più spesso nei panel all’interno dei festival italiani. È una cosa che serve a tutte e tutti: organizzazione, pubblico, artisti e artiste».