Frenare l’ondata di destra. Sanchez va ad elezioni anticipate per cercare di costruire un argine di coalizioni elettorali, che siano capaci di fermare l’ascesa della destra insieme alla destra estrema. I popolari nel voto del 28 maggio hanno incrementato il loro potere municipale, disastro Podemos, i franchisti di Vox si affacciano pericolosi. Tiene Barcellona, Catalunya e il Paese basco, ma è troppo poco.
di Angelo Miotto

La mappa di Spagna si è colorata del blu del Partido popular, oggi capitanato dal galiziano Alberto Núñez Feijóo, che è riuscito a risollevare il partito dai passi falsi di Mariano Rajoy e che ora si rivolge esplicitamente alla destra franchista di Vox: “Si quieren derogar el sanchismo, pueden facilitarlo”, ha detto il leader, che cerca contemporaneamente di svuotare l’ultradestra, per una maggioranza assoluta a livello di stato.

Qui trovate tutti i numeri del voto amministrativo, che rivendica il duplice aspetto che riveste in ogni tornata elettorale: da una parte gli elettori sono chiamati a premiare con il proprio voto politiche territoriali, candidati più vicini e noti, promesse che hanno una ricaduta effettiva sulla quotidianità. Dall’altra il barometro indica gli spostamenti che possono essere capitalizzati dal punto di vista nazionale, dove i temi si fanno più generali e però le indicazioni del territorio indicano le prossime rotte che aspettano i partiti che concorreranno al voto.

A destra

Sparisce Ciudadanos, che era nato come il Podemos della destra antinazionalista e che per alcune elezioni aveva raggiunto risultati importanti. Tutto il patrimonio è finito per scivolare nel cassetto di preferenze del Partido Popular, gli estremisti verso Vox. Se il nuovo corso dei popolari era quello di non farsi mangiare voti dalla destra franchista, ora – come detto – guardano interessati a quei sondaggi che dicono che potrebbero conquistare una maggioranza assoluta proprio con un governo insieme ai falangisti di Abascal.

A sinistra

A sinistra dei socialisti c’è confusione e aspettativa. Podemos, una forza che ha rivoluzionato negli ultimi anni il sistema bipartitico spagnolo, rompendolo e facendo dimenticare il gioco a due per immettere nuovi soggetti e formazioni, ha perso dentro le scissioni interne e mosse sbagliate della dirigenza la capacità di aggregare il voto di sinistra. Resta un partito che può decidere di andare a rinforzare il nuovo soggetto che da pochi giorni si è registrato nelle liste elettorali: Sumar. La leader indiscussa è Jolanda Diaz, oggi vice presidente e ministra del governo Sanchez, che ha portato sul tavolo del consiglio dei ministri importanti riforme nel settore del lavoro, tutte all’avanguardia rispetto alla tendenza sempre più sfumata della altre formazioni a livello europeo su questo tema. Diaz, che era stata scelta a punta de dedo da Pablo Iglesias di Podemos quando ha lasciato la politica, ha attraversato un deserto di ruggini fra lei e lo stesso Iglesias e con Sumar si propone come la nuova forza capace di agglutinare diversi soggetti, una piattaforma che aspetta di lenire le ferite per ricevere – si vedrà – l’appoggio proprio da Podemos. Sono giorni di trattative, riservate, in cui la politica spagnola sta componendo il quadro di chi parteciperà e con che peso dentro il nuovo soggetto. Qui si centrano le speranze per recuperare percentuali significative al momento di rieditare una alleanza con il partito socialista e in funzione di argine contro le destre.

Socialisti Psoe

Il partito socialista tiene, per ora, con una contenuta emorragia di voti, ma non è un mistero che i baroni all’interno del partito si stanno muovendo. El Pais, da subito molto critico con il percorso di leadership di Sanchez, ha sempre evidenziato la necessità di una svolta. E in un interessante editoriale una delle decane del giornalismo spagnolo, Soledad Gallego-Diaz, afferma che è arrivato per i due grandi partiti, socialisti e popolari, il momento della verità:

La campagna potrebbe avere un pregio speciale: permettere ai leader dei due principali partiti politici del Paese, PSOE e PP, di spiegare una volta per tutte quale partito vogliono, cosa che al momento non è chiara a molti dei loro elettori. Il Psoe è un partito che sta lottando per recuperare il suo voto storico o lo considera già perso per sempre e si presenta come il principale membro di una coalizione progressista? Il PP non parla di formazione di “maggioranze conservatrici”, né di alleanze (anche se sono più che probabili), ma deve spiegare se è un partito conservatore che si collega con una destra europea che non solo separa, ma combatte anche il estrema destra , o se è disposto a condividere governi e programmi con coloro che rappresentano quella tradizione estremista in Spagna.

Miguel Mora è direttore di www.CTXT.es, Contexto, e ci racconta così quello che definisce una situazione infernale:

Partido Popular PP

I popolari sono in ascesa, sparito Ciudadanos e con la destra estrema che viene tenuta a bada dal nuovo segretario galiziano, che punta sulla moderazione. Nella sua storia i popolari possono rivendicare radici comuni con Vox (il Pp nacque da Alianza Popular, fondata da uno dei ministri di Franco, Fraga Iribarne) e dopo l’aznaridad più cupa e plumbea e la stagione della corruzione che è costata tanto a Mariano Rajoy, è periodicamente attraversato da tensioni interne, con leader maschili e femminili che si formano nelle Comunità autonome, le regioni spagnole, per arrivare a contendere la segreteria. È il caso che qui sotto analizza Rachele Renno rispetto a un protagonismo da donna forte della presidente della Comunidad di Madrid Isabel Diaz Ayuso. La politica verso il centro funziona, a dimostrazione che il Paese è spaccato in due, nonostante la fine del bipartitismo. Le elezioni nazionali anticipate diranno se la destra più o meno moderata e l’estrema destra possono andare a rovinare una legislazione interessante sul fronte dei diritti sociali ed economici.

Madrid, il trionfo di Ayuso e la scomparsa di Podemos

Nella Comunidad de Madrid a imporsi nuovamente per la seconda volta dopo le elezioni del 2019, è stata la candidata del Partido Popular (PP) Isabel Diaz Ayuso, che alle elezioni del 28 maggio scorso ha ottenuto il 47,3% dei voti, con ben 67 seggi.  All’opposizione il Partito socialista dell’attuale governo in carica (PSOE) con il candidato Juan Lobato che ha conquistato 27 seggi, con l’inquietante entrata in campo della destra misogina e xenofoba di Vox e della sua candidata Rocío Monasterio, che nell’assemblea regionale ha ottenuto 10 seggi.

di Rachele Renno, da Madrid

La “Presidenta” Ayuso, come viene soprannominata, non ha avuto bisogno dell’alleanza con il partito di ultraderecha spagnolo Vox per governare. All’opposizione, invece, chi non è riuscito a superare il quorum del 5% è stato Unidas Podemos, la coalizione formata nel 2016 da Podemos, Izquierda Unida, Equo e altre formazioni di sinistra.

Di Populares de Madrid – Flickr, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=117803661

I risultati delle elezioni nella Comunità di Madrid, però, non sono importanti solo dal punto di vista regionale, poiché la Ayuso aspira a una carica a livello nazionale ed è stata proprio questa l’impronta che ha dato alla sua campagna elettorale. Più che un programma indirizzato alla regione madrileña, Ayuso, già nota per le sue posizioni conservatrici e spesso dure anche durante l’emergenza Covid, è stato rivolto direttamente al presidente spagnolo Pedro Sanchez. Durante la sua campagna elettorale ha addirittura invocato un plebiscito per scegliere tra “il sanchismo o la Spagna”. Ed è stata proprio questa “nazionalizzazione” della politica regionale a conquistare il consenso dei cittadini.

La Presidenta ha criticato duramente le politiche di genere della sinistra di Sanchez, a sua detta colpevoli di aver fatto sparire il concetto di “famiglia numerosa”. La sua crociata contro il leader del PSOE si è incentrata inoltre sulla riduzione delle pene per sedizione date agli indipendentisti catalani, ai patti stretti con la coalizione basca Bildu, fino ad arrivare alla sua volontà di privatizzare maggiormente la sanità e l’istruzione pubblica. Nonostante ciò, il dato preoccupante è proprio la maggioranza assoluta e l’appoggio plebiscitario che la leader del PP ha raggiunto in queste elezioni. Un piglio duro, sfacciato, che non si è risparmiata neanche trattando temi delicati come il cambiamento climatico – utilizzato a sua detta dalle politiche di izquierda spagnola ma che in realtà è un qualcosa esistito da sempre.

La vittoria dell’Ayuso non è la vittoria del Partido Popular spagnolo, ma la vittoria personalistica di una leader che ha fatto delle elezioni municipali e regionali un trampolino di lancio per la corsa alle nazionali del prossimo luglio.

L’ Ayusismo, come viene soprannominato, non è però visto di buon occhio dalle frange più moderate del PP, contrarie all’indirizzo che la presidenta sta dando alle politiche del partito, avendo spesso appoggiato le posizioni dell’ultradestra di Vox. Quel che è certo è che uno dei pochi baluardi delle politiche progressiste in Europa sta inevitabilmente risentendo del movimento della destra oscurantista che sta conquistando l’Unione.

Barcellona resiste

Sì e no. Vincono, infatti, i nazionalisti indipendentisti e liberali, l’estrema destra avanza, ma il centro-sinistra progressista, unito, detiene ancora la maggioranza. Ora non ci resta che capire come si configurerà il governo della città.

di Elisa Fiorucci, da Barcellona

PSC (Partit dels Socialistes de Catalunya), Bcomu (Barcelona en Comú) ed ERC (Esquerra Republicana) insieme continuano a rappresentare la maggioranza del Paese con un 50,78% di preferenze che equivalgono a 24 consiglieri dei 41 totali. Il PSC perde 7000 voti rispetto al 2019 – arrivando al 19,79% -, ma migliora i propri risultati in tutta la Catalogna (in contrasto con i risultati nazionali) e a Barcellona si aggiudica 131,735 voti e 10 consiglieri. ERC strappa 74,720 voti (11,22%, 5 consiglieri), 86000 in meno rispetto alle precedenti elezioni in cui fu la forza politica più votata. BComú ne perde ben 25000, e con 141 voti di distanza dal PSC si attesta come terza forza della città: 131.594 voti (19,77%) e 9 consiglieri.

La destra populista e trasversale di stampo catalano vince le elezioni con il riesumato Xavier Trias, presentatosi sotto la sigla TriasxBCN con lo scopo dichiarato di riunire il voto anti-Colau (la sindaca che lo aveva spodestato nel 2015). Ma senza la forza sufficiente per governare, con soli 11 consiglieri rispetto ai 21 che rappresentano la maggioranza assoluta. E con un programma alquanto inconsistente, ad eccezione del solito refrain del tappeto rosso per gli imprenditori stranieri e dell’impulso al turismo di massa.

By Barcelona En Comú – Votació Ada Colau, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=41691992

Occorrerà attendere la fine dei negoziati per capire in che modo si accorderanno le forze progressiste e di sinistra all’interno di una configurazione politica ancora incerta. Le possibilità, dato l’ovvio obiettivo di Bcomú di impedire che Trias venga proclamato nuovamente sindaco della città, sono quelle spiegate da Steven Forti su CTXS.es (1/06/2023): un accordo tra Junts e PSC per rastrellare un totale di 21 consiglieri, ovvero la maggiornaza assoluta, che tuttavia, con il 23 di luglio alle porte (elezioni anticipate indette da Pedro Sanchez all’indomani del voto, ndr) risulta un’operazione complicata e, forse, controproducente per entrambe le parti; altra possibilità è quella di un accordo dietro le quinte fra Trias e Maragall (esponente di ERC), senza sommare i voti ma permettendo a Trias di essere il candidato più votato se non ci fosse una maggioranza alternativa; infine, terza ipotesi, nessun accordo fra i partiti più votati, lasciando Trias a governare in minoranza, solo con i suoi consiglieri.

Indipendentemente dalle forme che prenderà il nuovo governo, ciò che resta è che  l’ambizioso progetto politico di Barcelona en Comú naufraga sotto il peso delle troppe campagne di odio e diffamazione portate avanti contro il partito e la sindaca Ada Colau, la femminista  ed “ex-okupa” che non è mai piaciuta all’upper class barcellonese. Il progetto di una città femminista, orgogliosamente diversa, ecologica, con la cura e la persona al centro di tutto – punto di riferimento di tante altre città, europee e non – viene espulso dal regno del possibile, almeno per il momento. Riuscirà sicuramente a mantenere qualche consigliere nei settori di interesse, come educazione, ambiente, servizi sociali e affini, ma di certo mancherà la possibilità di vedere alcuni dei risultati delle politche di questi anni e di continuare a praticare un’idea di città – e di società – in cui inclusione sociale, edilizia popolare, mobilità sostenibile, istruzione per tutt*, regolazione dei flussi turistici e dell’inquinamento sono le priorità che si contrappongono alla speculazione immobiliarie e ai profitti delle grandi corporation.

 “Ada Colau ha pagato una campagna di diffamazione rispetto alla sua persona e alle condizioni della città, un attacco trasversale da parte di tutte le forze politiche, PSC incluso, rispetto a due temi in particolare: la sicurezza e la pulizia nelle strade”, ha spiegato Salvatore Marino, candidato italiano nella lista Bcomú (unico partito che ha invitato a candidarsi esponenti delle comunità straniere più popolose della città). “Per quel che concerne il primo – continua Marino – è stata fatta molta demogogia e cattiva informazione, soprattutto perchè si tratta di un tema che riguarda per lo più la Generalitat, la quale gestisce la polizia catalana- i Mossos D’esquadra -, e il governo nazionale, che ha la gestione della Guardia Civil; il comune di Bracellona gestisce solo la Guardia Urbana, che ha sicuramente bisogno di un aumento dell’organico, ma rappresenta comunque una piccola parte delle forze di sicurezza che si possono dipanare nella città. Il tema della pulizia nelle strade, poi, è un argomento abbastanza opinabile in cui ognun* ha da dire la sua, senza una confutazione oggettiva dei fatti”.

Del resto, che il voto per Trias si sia mosso in funzione anti-Colau è evidente buttando un occhio alla mappa delle preferenze suddivisa per quartieri. TriasxBCN ha vinto nell’ Eixample, a Gràcia, Les Corts e Sarrià-Sant Gervasi, quartieri che mal sopportano le politiche egualtarie e inclusive, dall’alto del loro benessere e dei loro interessi commerciali. In molti quartieri periferici – come San Martí, Nou Barris, El Carmel – il partito socialista si conferma sempre forte e, Vox, che entra per la prima volta nell’emiciclo della Generalitat,  guadagna molti voti. Bcomú domina solo due dei sei quartieri su cui era forza principale, ovvero Ciutat Vella (il centro città) e Sants-Montjuic; ma porta a casa anche un ottimo risultato come seconda forza nell’Eixample, da sempre quartiere borghese, che ha forse premiato gli interventi di mobilità sostenibile come il Programa Superilles (zone di pacificazione del traffico a uso del quartiere).

Altre tre osservazioni meritano di essere esposte intorno ai risultati nella capitale catalana.

La prima: Il PP (Partido Popular) migliora i suoi risultati, (61.355 voti, 9,21 % e 4 consiglieri) seguendo il trend generale e Vox – anima gemella dei nostrani Fratelli d’Italia – ottiene 29000 voti in più e una rappresentazione che prima non aveva (37.937 voti, 5,7% e 2 consiglieri). Un dato preoccupante, anche se non dissimile dai fenomeni che abbiamo visto istaurarsi in mezza Europa.

Seconda osservazione: la CUP (Candidatura d’Unitat Popular) partito independentista di estrema sinistra rimane fuori dalla rappresentanza (25.341 voti 3,8%). Non è aria di grosse rivoluzioni.

Infine, la terza e ultima analisi: l’astensione sale al 5,6%, insieme al numero dei voti nulli o in bianco, e riguarda soprattutto i quartieri a basso reddito. Come sempre, finisce per fare il gioco delle destre e non va presa sottogamba.  

Interpretando il risultato della capitale catalana entro il contesto nazionale, si evince che pare essersi definitivamente chiuso il ciclo apertosi con il movimento degli Indignados una dozzina d’anni fa e che è continuato con l’entrata in scena di Podemos e con la vittoria di Ada Colau a Barcellona nel 2015. Si apre, invece, un nuovo ciclo in linea con il clima europeo e globale dove avanzano le destre tradizionali, quando va bene, e quelle estreme, razziste e xenofobe in alcuni casi. Resta per molti attori ed elettori, però, la convinzione che un altro mondo non solo è possibile ma è anche praticabile.