Ancora oggi esistono tabù difficili da sdoganare per la società, alcuni sono ben conosciuti e ben visibili, altri invece si nascondono dietro consuetudini sociali. Il capitalismo ci ha inseriti in un meccanismo di produzione di massa che continua a crescere e dal quale sembra impossibile uscire. Oggi, con lo smart working e i social network, siamo costantemente connessi al mondo, soprattutto a quello del lavoro. Questo ha creato una distorsione della realtà, generando l’idea che più siamo produttivi e impegnati più il nostro status sociale acquista valore e il nostro ego si gratifica. L’idea di inserire nella quotidianità momenti di ozio sta risultando sempre di più una situazione dove è meglio non inciampare, sempre più un tabù.

Questa tendenza, che continua ad aumentare, si ripercuote sulla nostra salute psicofisica causando burnout e stress, con l’aggiunta di gravi conseguenze, come problemi sul lavoro e calo di produttività. Il termine utilizzato è busy bragging, cioè il vantarsi di essere sempre impegnati.

“L’assenza di tempo libero è il nuovo status symbol”

sono parole di Silvia Bellezza, docente di psicologia del marketing alla Columbia Business School. In un suo studio, pubblicato sul Journal of Consumer Research, viene chiesto a diversi soggetti coinvolti di giudicare lo status sociale di sconosciuti sulla base di alcuni post da loro pubblicati da cui era possibile capire come occupassero il loro tempo.

Il risultato riscontrato è che chi si professava pieno di impegni veniva giudicato di status superiore. È evidente quindi, che il tempo libero sta diventando un’usanza obsoleta riservata a coloro che hanno uno status sociale inferiore; questo è esattamente l’opposto di ciò che accadeva nell’antica Roma dove l’otium era un privilegio ed era riservato ad attività come: letteratura, scrittura, riflessione.

Bertrand Russell, filosofo e matematico del ‘900, nel suo saggio Elogio dell’ozio, accusa gravemente la base etica dello Stato definendola schiavista

perché il salario che un lavoratore riceve non è proporzionato a ciò che produce, ma alla sua abnegazione, allo zelo che mostra nello svolgere il proprio lavoro.