“Nella nostra civilissima società la gravità di un male è rivelata dalla reticenza con cui se ne parla e quanto più lo si presenta come una dolorosa necessità, tanto più si tende a non parlarne, perché il fatto è sconveniente”.

Diceva questo Albert Camus della pena capitale. Parole che si possono senza dubbio estendere anche all’ergastolo, alternativa “più umana” per quanto da sempre definita come il “cimitero dei vivi”. Il carcere a vita non lascia infatti al colpevole nessuna possibilità di reinserimento sociale. È quindi necessario instaurare un dialogo sul sistema-carcere perché termometro che non inganna sullo stato della nostra civiltà. Due uomini di giustizia con differenti visioni sul “fine pena mai” ai condannati per reati di mafia si confrontano su un tema assai complesso perché necessità di un corretto e peculiare bilanciamento tra il fine rieducativo della pena e la pericolosità sociale del soggetto.

“Con la legge Gozzini del 1986, l’ergastolano può essere ammesso, dopo l’espiazione ad almeno 10 anni di pena, ai permessi premio, nonché, dopo 20 anni, alla semilibertà. Dopo i 26 anni, si accede alla libertà vigilata e, dopo altri quattro, la pena si può considerare estinta”, ricorda Luigi Pagano, che per quarant’anni è stato direttore carcerario in numerosi istituti di pena, da Pianosa negli anni di piombo fino al pionieristico progetto “Bollate”, consentendogli di essere protagonista e testimone di alcuni momenti chiave della storia e della cronaca nazionale.

“L’apertura delle sbarre del carcere è tuttavia preclusa agli ergastolani condannati per i reati più gravi, dalla lotta armata all’associazione mafiosa, fatta salva un’unica possibilità: la collaborazione con lo Stato”. Infatti, così come l’introduzione del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso si deve al sacrificio del segretario del Pci siciliano Pio La Torre, così l’introduzione del regime speciale del 41-bis (il cd “carcere duro”) e l’ergastolo ostativo, si devono alla morte di Falcone e Borsellino. Questa misura fu concepita nel 1992 per dare possibilità di scelta ai boss mafiosi se subire le conseguenze della loro fedeltà a Cosa nostra o se collaborare con la giustizia.

“Eppure, la Corte costituzionale ha ritenuto l’ergastolo ostativo contrario ai principi della rieducazione delle pene e del divieto di trattamenti disumani degradanti, esortando il Parlamento ad armonizzare l’istituto sulla base delle indicazioni avanzate”.