Mamadou, Io Capitano: «Servono canali di ingresso regolari»

Matteo Garrone racconta la sua storia, lui spera che il film risvegli le coscienze. L’intervista

Mamadaou Pli Kouassi è un attivista del Movimento Migranti e Rifugiati e mediatore culturale al Centro Sociale Ex-Canapificio di Caserta. Il suo nome e la sua faccia li abbiamo visti a Venezia, durante l’ottantesimo Festival del cinema, sempre al fianco di Matteo Garrone con cui ha collaborato per la realizzazione di Io Capitano, il film che è valso il Leone d’Argento al regista e che adesso è candidato agli Oscar. Il film racconta anche la sua storia – e per questo Mamadou ha una speranza: che Io Capitano risvegli le coscienze e aiuti a cambiare il sistema dell’immigrazione.

Sul palco di Venezia hai portato un messaggio chiaro: bisogna liberalizzare i visti. Che significa?

Io Capitano è un film che racconta una realtà che è la mia realtà e quella di molti Mamadou, che sono riusciti ad arrivare in Italia ma che per farlo hanno dovuto attraversare il deserto, passare per un Paese come la Libia, vedere e vivere sulla propria pelle tanta sofferenza. Ci sono migliaia di persone che perdono la propria vita nel deserto o nelle prigioni in Libia; io stesso ho visto morire davanti ai miei occhi persone che non ho potuto salvare… Avere canali di ingresso regolari aiuterebbe a combattere il traffico di esseri umani e soprattutto darebbe dignità e diritti a chi vuole viaggiare per raggiungere qualsiasi parte d’Europa.

Qualcuno controbatterà che forse non c’è posto per tutti in Europa … Tu cosa risponderesti?

Questo film è un film di educazione anche per chi vive in Africa, perché non creda che l’Europa è il miele e perché veda che anche in Europa ci sono delle difficoltà. Spiega la drammaticità delle persone che partono, che attraversano il deserto, che muoiono nelle prigioni della Libia e speriamo che aiuti anche i governi ad avviare un processo per cui chiunque vuole viaggiare per andare in Europa, possa avere un visto regolare. Non è che tutta l’Africa vuole sbarcare in Europa, ma chiunque ha voglia di partire dovrebbe avere il diritto di poter viaggiare tranquillamente. È una questione di uguaglianza. Un esempio: per un europeo che vuole andare in Africa basta un giorno e prende il visto, mentre per un africano che vuole viaggiare per andare in Europa, a volte un anno non può bastare nemmeno per avere l’appuntamento per richiederlo, il visto. Perché?

Insieme a Matteo Garrone e agli altri attori e collaboratori del film avete incontrato il Papa in un’udienza privata. Cosa vi siete detti?

Papa Francesco è un papa di grande umanità, sempre in aiuto di chi soffre e in questa udienza ci ha accolti per ringraziarci di mostrare con il film Io Capitano questa realtà al mondo intero, attraverso il cinema. Ci ha ringraziato anche per il coraggio, perché bisogna combattere per poter cambiare le cose. Anche lui è un immigrato e perciò lo riguarda direttamente. Anche noi lo abbiamo ringraziato di quello che fa e di quello che ha fatto. È stato molto commovente, dopo Venezia, essere ricevuti da Sua Santità e crediamo che questo film porterà un’impronta di cambiamento positiva a questa generazione, e la speranza di una nuova umanità.

In Io Capitano viene raccontato un viaggio impossibile, ai limiti della capacità di sofferenza umana. Ma il film racconta anche l’entusiasmo di voler partire, l’urgenza di voler lasciare la propria terra e trovare un futuro altrove. Quando tu eri uno studente di Lingue all’Università, in Costa d’Avorio – qual era il tuo sogno?

Il mio sogno era di diventare un professore di lingue in Costa d’Avorio. Volevo rimanere lì. All’inizio non avevo neanche voglia di andare in Europa. Volevo insegnare inglese, francese e tedesco in Costa d’Avorio. Ma quando è scoppiata la guerra civile e ha colpito il Paese per più di 10 anni, siamo stati costretti a lasciare la Costa D’Avorio e siamo andati a finire in Libia. In Libia ci sono stato per ben tre anni e avrei tante cose da dire a chi dice che Paesi come la Libia sono sicuri… Il film racconta anche questa verità. Già prima del film, io andavo nelle scuole a raccontare la mia storia e credo che non smetterò di raccontarla, perché è importante che la gente sappia questa verità che forse non è stata del tutto raccontata in passato. Mi piacerebbe che gli studenti e le scuole chiedessero di vedere insieme questo film e che l’atteggiamento della gente, oltre al sistema dell’immigrazione, possano cambiare.

Tu sei un attivista per il Movimento migranti e rifugiati e da 10 anni lavori come mediatore culturale presso il Centro Sociale Ex-Canapificio di Caserta. Voi vi battete anche per i diritti di chi arriva in Italia. Ci racconti del tuo lavoro?

In questi 10 anni abbiamo combattuto insieme ai migranti per poter dare un diritto, un permesso di soggiorno che è il primo strumento per poter fare un inserimento lavorativo e abitativo. Conoscerete un posto che si chiama Castel Volturno, dove ci sono un sacco di migranti senza permesso di soggiorno, noi lì ci battiamo contro lo sfruttamento lavorativo. Abbiamo uno sportello, aperto due volte alla settimana, per dare supporto alle persone e spiegare loro leggi, come la nuova legge per la protezione speciale: come la si può richiedere, come la si può perdere, come fare una richiesta di asilo… E poi educhiamo le persone a fare un inserimento lavorativo e abitativo, che è un altro punto non facile e che stiamo affrontando con la Regione Campania. Questo è il mio lavoro, e sono orgoglioso di incontrare ogni giorno differenti nazionalità – persone dal Mali, dalla Costa D’Avorio, dal Ghana, dal Camerun, dal Niger – e di provare a dar loro una voce, a rendere visibili queste persone invisibili. Perché chiunque abbia un permesso di soggiorno e possa lavorare, contribuire allo sviluppo di questo paese e inserirsi nel tessuto sociale della città in cui vive, essere partecipe come cittadino attivo. Sono orgoglioso di quello che facciamo, non soltanto io ma insieme agli italiani che vivono sul territorio di Caserta che da anni fanno tutto questo lavoro con l’associazione… La nostra regione non è una regione facile ed è un lavoraccio quello che facciamo nel nostro territorio anche per combattere la criminalità. Lottare contro la camorra rientra nella lotta che portiamo avanti.