No sleep till Shengal, Zerocalcare racconta la resistenza degli ezidi

Da tempo ormai Zerocalcare non è più una sorpresa. Non lo è per il suo stile, né per i temi che sceglie di affrontare. Ma il graphic journalism, di certo, non è il terreno su cui è solito muoversi.

Con Kobane calling – la sua opera di maggior successo internazionale – aveva dimostrato di saper raccontare storie meno legate a quel vissuto personale che rappresenta da sempre il nucleo principale del suo lavoro.

Confermarsi non era scontato, e invece No sleep till Shengal si inserisce perfettamente nel discorso cominciato con il volume del 2015, di cui comunque non è un seguito in senso stretto.

Se Kobane calling si concentrava sulla città del Kurdistan siriano e sulla sua resistenza all’Isis, l’opera uscita cinque giorni fa per Bao sposta lo scenario di circa 500 km a est, nella città del Kurdistan iracheno più nota con il nome arabo di Sinjar.

Già la scelta di utilizzare nel titolo e in tutto il volume i nomi curdi invece di quelli arabi testimonia la presa di posizione dell’autore, vicino alle sorti del popolo curdo sin dai tempi di Kobane calling.

No sleep till Shengal, però, non è dedicato ai curdi, bensì agli ezidi (o yazidi, in arabo). Un popolo da tempo sottoposto, come i curdi, a soprusi e persecuzioni, culminati nel massacro del 3 agosto 2014, riconosciuto come genocidio dalle Nazioni Unite.

A conoscere la storia recente e la situazione attuale degli ezidi, Zerocalcare è invitato dal responsabile della comunità curda di Roma, che propone al fumettista di Rebibbia un viaggio a Shengal per vedere con i propri occhi quello che sta succedendo.

Il motivo è presto detto: come i curdi, anche gli ezidi stanno sperimentando il modello del confederalismo democratico, e come i curdi, anche gli ezidi sono minacciati dalla convergenza di interessi tra governi che vogliono la fine della loro esperienza di autonomia.

In questo caso, a sottoscrivere l’accordo del 2020 per riassorbire completamente Shengal nei ranghi del governo di Baghdad sono stati l’Iraq, la “solita” Turchia e lo stesso presidente del Kurdistan iracheno.

Un guazzabuglio difficilmente comprensibile per chi non conosce la regione e le complesse dinamiche all’opera nell’area, già profondamente mutate rispetto ai tempi di Kobane calling.

Ma con la consueta dose di ironia, mettendo anche a nudo la sua scarsa preparazione iniziale sull’argomento, Zerocalcare sbroglia la matassa con apparente facilità, portando il lettore a contatto diretto con il popolo ezida e la sua causa, ignorata più o meno volutamente da gran parte del mondo.

Proprio nel 2014, pochi mesi prima del viaggio di Zerocalcare nel Kurdistan siriano, avviene il massacro da parte dell’Isis che l’autore romano rievoca in un flashback nero come le tavole su cui campeggia. Cinquemila ezidi uccisi, centinaia di persone morte di stenti nella fuga, seimila rapite tra bambini e donne, duemila delle quali ancora irrintracciabili.

Sono i presupposti, il punto di partenza della situazione attuale, dove un popolo di 250mila persone – la metà rispetto all’epoca precedente il genocidio – prova a costruire una difficile quotidianità di autonomia e resistenza.

Autonomia e resistenza rispetto allo Stato iracheno, che invece di collaborare con il governo di Shengal cerca di sopprimere l’esperimento del confederalismo democratico, percepito come una minaccia alla propria fragile tenuta.

Autonomia e resistenza dall’ingerenza della Turchia, che associa questo modello politico e sociale ai curdi, e quindi al Pkk, annoverando anche gli ezidi tra i nemici da abbattere a forza di attacchi con i droni e incursioni delle milizie integraliste al soldo di Ankara.

Per questo, gli ezidi si sono organizzati non solo socialmente e politicamente, ma anche dal punto di vista militare, creando unità di difesa paritarie sul modello di quelle del Kurdistan siriano.

Le donne, non a caso, escono con grande forza anche dalle pagine di questo racconto, protagoniste di una lotta che accanto a quella per l’autonomia del loro popolo porta con sé la ricerca di emancipazione e riscatto.

Prima, durante e dopo l’incontro con gli ezidi, un estenuante ping pong tra posti di blocco, spie irachene e armi spianate che sfocia anche in situazioni di grave tensione, risolte non senza difficoltà.

I toni di grigio di Alberto Madrigal regalano ancora una volta profondità e spessore alle tavole di Zerocalcare, consolidando una collaborazione che già in passato si era rivelata proficua.

Ma anche No sleep till Shengal, come Kobane calling, lascia impressi più di tutto la forza e il coraggio di un popolo che non si arrende, catturati dal fumettista di Rebibbia in uno sguardo, un gesto, una frase.

Ancora una volta, Zerocalcare si mette in gioco per ascoltare in prima persona le storie degli ezidi, vedere con i suoi occhi la loro città. Come mai? “Perché quando nessuno parla, quando nessuno guarda… succedono massacri”.