Stanley Greene, vita a fumetti di un grande fotoreporter

La biografia, si sa, non è un genere facile. Il rischio di una divulgazione didascalica o di una celebrazione retorica è sempre dietro l’angolo. Senza contare che non è semplice rendere giustizia alla vita che si racconta.

Ma BeccoGiallo, in questo campo, ormai è una garanzia: con un catalogo che conta decine di volumi biografici, si può dire che la biografia a fumetti sia una specialità della casa.

Nel caso di di Stanley Greene. Una vita a fuoco, di Jean-David Morvan e Tristan Fillaire, colpisce prima di tutto il formato: un bel cartonato 26×21 – questo, sì, insolito per BeccoGiallo – che vale decisamente il prezzo di copertina.

Un formato che consente di godere appieno delle fotografie di Stanley Greene che costellano il racconto – alternandosi alla narrazione principale a fumetti – e alimentano una ricca appendice finale.

Diversamente dal pioneristico lavoro Il fotografo di Guibert, Lefèvre e Lemercier, tuttavia, l’opera di Morvan e Fillaire non è un racconto attraverso alle fotografie di Stanley Greene, ma intorno ad esse.

In questo senso, il volume narra al contempo la vita del grande fotoreporter e la storia di alcuni tra i suoi scatti più significativi: un approccio banale solo in apparenza, capace di evocare lo spirito fuori dagli schemi del suo protagonista.

Mi chiamo Stanley Greene e sono morto il 19 maggio 2017

Con queste parole – dopo una scena iniziatica al cospetto della Storia, con il Muro di Berlino pronto a cadere – Morvan ci fa capire che non siamo di fronte a una biografia ordinaria, visto che la voce narrante del protagonista arriva da una dimensione altra, dopo la morte.

Mentre le stile grafico di Fillaire è improntato al più accurato realismo, la sceneggiatura sembra scomparire man mano che il racconto procede, assumendo la forma di un flusso apparentemente disordinato di pensieri.

Ma è un effetto voluto: Morvan si fa da parte per lasciare che lettore e narratore possano condividere uno spazio di intimità, dove il racconto diventa una confidenza, erratica come il suo protagonista.

La vita del fotoreporter di Brooklyn scorre davanti ai nostri occhi tra eventi personali, vicende umane e punti di svolta della Storia, vista da vicino per quasi trent’anni dal crollo del Muro in poi.

La rivelazione di quel 9 novembre 1989 coglie Greene come un’epifania, guidandolo verso la scelta di raccontare dall’interno il collasso dell’Unione Sovietica e le sue conseguenze.

Una svolta di vita e di carriera, che porta un annoiato fotografo di moda verso un impegno non cercato, ma incontrato quasi per caso e poi perseguito con pervicacia nei venticinque anni successivi.

Dalla crisi russa del 1993 alle proteste di Majdan Nezaležnosti nel 2013, le immagini di Stanley Greene condensano la tensione ideale tra la verità dei fatti e la soggettività del racconto, specialmente presente nella fotografia.

A risaltare tra le altre sono le immagini della Cecenia, dove il fotoreporter tornò più volte anche a proprie spese, afflitto e affascinato dal destino di un popolo delle cui sofferenze fu testimone partecipe.

L’umanità non artefatta delle persone che emerge dalle fotografie dice molto dell’approccio di Greene alla professione, cominciata al cospetto di W. Eugene Smith e culminata con una serie di prestigiosi premi.

La difficoltà di lavorare con altri, nonostante la stima per alcuni colleghi, non gli ha impedito di essere tra i fondatori dell’agenzia internazionale Noor nel 2007. Tra nuovi inizi e contraddizioni, chi era in definitiva Stanley Greene?

Qualcuno che ha voluto vedere le cose da vicino, e catturarne l’essenza. O meglio, per dirla con le sue parole, “solo un altro che ha deciso di voler capire tutto della vita”.