Il 2 ottobre il Brasile torna alle urne per scegliere il suo presidente, a quattro anni dalle elezioni precedenti. Quello del 2018 era un Brasile scosso dalle inchieste giudiziarie, che avevano demolito il partito di Lula e che si affidava a Jair Bolsonaro, un capitano dell’esercito in congedo. Elezioni fortemente condizionate dall’incarcerazione di Lula, che all’epoca era dato come vincitore sicuro.

Oggi lo scenario è completamente diverso. Lula è tornato libero, Bolsonaro ha perso consenso per come ha gestito la pandemia e per le riforme promesse e non portate a termine. Intanto l’Amazzonia non è stata monitorata e ha bruciato sempre di più, sono stati assediati i territori indigeni, è aumentata la dipendenza dalla Cina. E, soprattutto, i meccanismi democratici sono stati messi in dubbio.

Oggi i sondaggi danno in testa Lula in un voto che è uno spartiacque, per il Brasile e non solo: l’analisi di Alfredo Somoza per Qontesto, il podcast a cura di Angelo Miotto che va alle radici dei fatti.

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