Carnet di viaggio, le geografie di Craig Thompson

È il 2004 quando Craig Thompson pubblica Carnet di viaggio, praticamente in diretta dall’Europa dove si trova per il tour promozionale del suo successo planetario, Blankets, uscito l’anno precedente.

Molte cose sono cambiate tra quel momento e il 2017, quando esce una nuova edizione dell’opera, ampliata con 32 pagine inedite, che aggiunge ulteriori spunti a quel primo diario di viaggio.

Torniamo indietro nel tempo di qualche anno per riscoprire il terzo lavoro a fumetti pubblicato dall’autore di Habibi in occasione dell’uscita di Geografie, nuovo numero del trimestrale cartaceo di Q Code.

Dopo aver dimostrato tutto il suo valore con il racconto autobiografico, Thompson si cimenta nel genere del reportage, cogliendo l’occasione del viaggio che lo avrebbe portato in Francia, Spagna e Marocco.

L’idea di alimentare quotidianamente il suo lavoro, così affascinante in partenza, si rivela tuttavia difficile per il fumettista, sia per le sue precarie condizioni psico-fisiche sia per i ristrettissimi tempi di produzione.

Reduce dalla traumatica fine della storia d’amore raccontata in Blankets, Thompson parte infatti con l’umore a terra e forti dolori alla mano con cui disegna, aggravati dalle intense sessioni di firmacopie.

Con l’editore che pubblicherà Carnet di viaggio, inoltre, ha concordato un formato predefinito e scadenze troppo serrate, che lo costringeranno ad affrettare la conclusione del lavoro.

Proprio per questo, le 32 pagine aggiunte nell’edizione ampliata contribuiscono a restituire maggiore profondità al racconto, che diversamente risentirebbe troppo dell’atmosfera claustrofobica in cui era stato realizzato.

Pare assurdo parlare di claustrofobia a proposito di un racconto di viaggio, invece per lunghi tratti è proprio questa la sensazione che accompagna la lettura di Carnet di viaggio.

La ragione risiede nello stile narrativo di Craig Thompson, che essendo comunque orientato in modo prevalentemente autobiografico, tende a concentrarsi sulla sua sofferenza interiore più che sul contesto circostante.

L’opera è un flusso di coscienza tanto quanto un diario di viaggio

Ma quale diario di viaggio, in fondo, non è anche un flusso di coscienza? Dopo tutto, è dall’interazione tra la sensibilità dell’autore e la diversità incontrata viaggiando che nasce l’interesse di questo genere di racconti.

Nel caso di Craig Thompson, tuttavia, sotto il peso non indifferente della relazione appena conclusa, la dimensione interiore diventa preponderante su quella esteriore.

Carnet di viaggio non ha la prondità giornalistica di Joe Sacco, né lo sguardo sociologico di Guy Delisle, solo per citare due autori che compaiono anche nel fumetto, incontrati da Thompson nelle sue peregrinazioni.

Soprattutto, come ammette lui stesso in un paio di circostanze, la prospettiva da cui Thompson guarda il mondo intorno è a tratti quella superficiale del turista americano, in particolare durante le tre settimane in Marocco.

Qui le difficoltà del viaggio in solitaria, le barriere comunicative e la tristezza costante spingono l’autore alla massima distanza dalla sua comfort zone. Ma è proprio in queste pagine, forse non per caso, che Carnet di viaggio raggiunge il livello più alto di profondità e lirismo.

Pur senza raggiungere le vette di Blankets e la maturità di Habibi, Thompson dimostra ancora una volta la sua bravura nell’esplorazione delle geografie interiori, rispetto a quelle tangibili dove sembra smarrirsi nel tentativo di colmare le distanze.

Non a caso, alla domanda “Perché mai viaggiare?”, l’autore risponde definendo il viaggio come “l’illusione del movimento: un cambio di scenario che ci scombussola quel tanto che basta per ricordarci di essere presenti”.