L’occasione offerta dalla retrospettiva organizzata negli scorsi mesi a Riccione era troppo ghiotta per non lanciarsi alla riscoperta di un gigante del fotogiornalismo mondiale come Robert Capa.

Una riscoperta che passa anche dalla biografia a fumetti Capa. L’étoile filante di Florent Silloray, pubblicata in Francia nel 2016 da Casterman e tradotta in italiano dall’editore White Star nel 2018, con un bel volume di grande formato del titolo non proprio felicissimo, Robert Capa. La verità è lo scatto migliore.

Probabilmente un personaggio come Robert Capa ha bisogno di poche presentazioni: definito da alcuni il miglior fotoreporter di guerra del mondo, con il suo lavoro ha attraversato la storia e segnato l’immaginario del Novecento.

Ma sia la retrospettiva di Riccione sia il fumetto di Silloray hanno il merito di esplorare la figura del grande fotografo ungherese anche nelle sue contraddizioni, evitando di fermarsi sulla soglia della leggenda.

Se la mostra fotografica recentemente conclusa ripercorreva efficacemente il lavoro del fotoreporter, la biografia a fumetti porta alla luce aspetti meno noti, eppure centrali, della personalità di Endre Friedmann, facendo emergere la persona dietro al personaggio.

Al di là degli aspetti salienti della vita personale di Capa, documentati anche dai suoi scatti che ritraggono alcuni degli amici più celebri, è la scelta stessa dello stile narrativo adottato per il fumetto a fare la differenza.

Questo infatti si configura non tanto e non solo come un racconto della vita e del lavoro di Friedmann/Capa, ma come un lungo flusso di coscienza in cui il lettore prende parte ai pensieri del protagonista, partecipando dall’interno alla tappe più significative della sua evoluzione personale e professionale.

Dagli inizi di carriera accidentanti alla tragica morte in Indocina, passando per gli anni del successo e la fondazione dell’agenzia Magnum, dal grande amore per Gerda Taro alla breve quanto intensa relazione con Ingrid Bergman.

Anche le scelte visive alla base del fumetto sono volutamente distanti dal lavoro di Capa, fatta eccezione per la tinta color seppia delle tavole che richiama immediatamente le vecchie fotografie.

Al contrario di opere pionieristiche come Il fotografo di Lefèvre, Guibert e Lemercier, infatti, Silloray sceglie non solo di non utilizzare direttamente le foto all’interno del fumetto, ma evita anche di riprodurre le inquadrature dei più celebri scatti di Capa, concentrandosi più sull’autore che sulle sue foto.

In questo modo emerge a pieno la potenzialità del fumetto come mezzo di comunicazione in grado di raccontare aspetti che possono sfuggire alle immagini fotografiche o cinematografiche, pur conservando una componente visiva determinante che lo differenzia dal libro.

Silloray restituisce di Capa un ritratto autentico e non celebrativo, delineando il percorso di una persona che – tra difficoltà e contraddizioni – ha seguito quella che viveva come una vocazione nei confronti di un mestiere ben preciso.

Un protagonista, in definitiva, non solo del giornalismo e della fotografia, ma anche della storia del Novecento. E che alla luce della propria carriera ha potuto ben dire, a proposito della fotografia: “Se le vostre foto non sono abbastanza buone, è perché non siete andati abbastanza vicini”.